Noi
— 4 aprile 2019Jordan Peele confeziona un horror ricco di suggestioni che valica il genere e ci costringe a guardare in faccia il nostro peggior nemico. Noi stessi.
Gianni Amelio questa volta gioca d’azzardo con La tenerezza. Per due motivi. Il primo è che il regista de Il ladro di bambini e Le chiavi di casa ha scelto di portare al cinema un film incentrato su un argomento piuttosto spinoso e di difficile conciliazione con l’idea di intrattenimento spesso associata alla settima arte, ovvero la vecchiaia. E il secondo è che come protagonista ha voluto un attore di livello come Renato Carpentieri, ottimo caratterista proveniente dal teatro, che però rimane un perfetto sconosciuto per la maggior parte del pubblico o comunque un volto noto (era anche nel cast de La squadra e Don Matteo 3) ma difficilmente identificabile con un nome e un cognome dai più. Per ovviare a questa scelta, che indubbiamente rende il film poco vendibile commercialmente, una locandina che piazza in primo piano i tre “volti conosciuti” della pellicola, ovvero Elio Germano, Micaela Ramazzotti e Giovanna Mezzogiorno. Carpentieri viene relegato ai piedi del manifesto, in un’immagine che lo ritrae da lontano, mentre cammina su un pontile insieme ad un bambino (suo nipote nel film). Il messaggio è chiaro, ma un tantino ingannatore: venite a vedere l’ultimo film di Gianni Amelio con Germano, Ramazzotti e Mezzoggiorno. Peccato che questi tre attori abbiano solo dei ruoli di contorno e che il film sia totalmente tenuto in piedi e costruito intorno alla figura di Lorenzo, avvocato in pensione interpretato appunto da un meraviglioso Carpentieri, il cui nome segue ingiustamente quelli dei suoi compagni di set.
Liberamente ispirato al romanzo La tentazione di essere felici di Lorenzo Marone, La tenerezza è un film sull’amore, visto in tutte le sue contraddizioni. Renato Carpentieri è Lorenzo, un anziano avvocato appena sopravvissuto ad un infarto. Vive da solo a Napoli in una bella casa del centro, da quando la moglie è morta e i due figli adulti, Elena (una sempre più grave Giovanna Mezzogiorno) e Saverio, si sono allontanati. O è stato lui ad allontanarli? Al suo rientro dall’ospedale, Lorenzo trova sulle scale davanti alla propria porta Michela (Micaela Ramazzotti), una giovane donna solare e sorridente che si è chiusa fuori casa, cui l’avvocato dà il modo di rientrare dal cortile sul retro che i due appartamenti condividono. Una contiguità degli spazi che è destinata a diventare anche contiguità di sentimenti: Michela e la sua famiglia – il marito Fabio (Elio Germano) e i loro figli Bianca e Davide – entreranno nella vita dell’avvocato con una velocità e una pervasività che sorprenderanno lui stesso. Ma un evento ancor più inaspettato rivoluzionerà quella nuova armonia.
In una Napoli borghese e insolita, superbamente fotografata da Luca Bigazzi che sceglie saggiamente di non farne una cartolina, Amelio ambienta una vicenda in cui i personaggi sono alla disperata ricerca di costruire dei rapporti affettivi, al di là della consanguineità e della parentela e punta l’obiettivo su una sfilata di soggetti, tutti vittime più o meno inconsapevoli di un’inadeguatezza di fondo nei confronti della società, su cui hanno costruito le loro certezze e le loro routine. Lorenzo non ama più i suoi figli, da quando sono cresciuti, eppure si affeziona alla famiglia di Michela, scappata di casa a 16 anni, e di Fabio, ingegnere navale che ha finito per fare quello che sua madre ha scelto per lui. Lorenzo non è in grado di fare il padre di un adulto e cerca disperatamente di compensare la mancanza trascorrendo del tempo con il suo nipotino e con i bambini dei vicini di casa.
Con un soggetto profondo e straziante e una sceneggiatura che non riesce a tenergli testa e con attori alle prese con ruoli complessi e poco battuti che fanno quello che possono per stare dietro a una direzione sin troppo composta che non asseconda il terremoto emotivo e che pervade la vicenda, Amelio si dimostra un campione nel nel non cedere a facili sentimentalismi ma, soprattutto nel finale, lascia troppe sequenze irrisolte. Una voglia di tenerezza, quella del regista, disperatamente cercata ma non del tutto raggiunta.
Voto 6
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