Noi
— 4 aprile 2019Jordan Peele confeziona un horror ricco di suggestioni che valica il genere e ci costringe a guardare in faccia il nostro peggior nemico. Noi stessi.
Un’altra trasformazione fisica drastica per Matthew McConaughey e un altro ruolo da mattatore per cui, con ogni probabilità, l’attore texano si aspettava un’altra candidatura agli Oscar. E invece non solo la nomination non è arrivata, ma Gold – La grande truffa è stato un flop. Costato 20 milioni di dollari, ne ha incassati circa la metà tra il mercato americano e quello dei 13 paesi in cui è stato già distribuito. Basato sulla sceneggiatura degli esordienti Patrick Masset e John Zinman, inserita nel 2009 nella Black List di Hollywood delle migliori sceneggiature non ancora prodotte, il copione del film ha girato per le scrivanie dei produttori per quasi un decennio. Inizialmente si era pensato a Paul Haggis, Michael Mann e Spike Lee, tutti nomi che, per un motivo o per un altro, si sono tirati fuori dal progetto. Poi, a fine 2014, lo script finisce in mano a McConaughey, fresco di un Oscar per Dallas Buyers Club, che si innamora della storia a tal punto da voler interpretare il protagonista e da volerla anche produrre.
Ambientato agli inizi degli anni Novanta, Gold – La grande truffa si ispira a fatti realmente accaduti, lo scandalo minerario che coinvolse la Bre-X Minerals nel 1993. Kenny Wells (Matthew McConaughey) è un uomo d’affari che naviga in cattive acque ed è alla ricerca del colpo milionario. Grazie al geologo Michael Acosta (Édgar Ramírez) viene a sapere dell’esistenza, ancora da dimostrare, di una delle più grandi e prolifiche miniere d’oro nell’inesplorata giungla indonesiana. Così si getta a capofitto nell’impresa, che si dimostrerà tutt’altro che semplice. Wells è un personaggio che non avrebbe sfigurato in Morte di un commesso viaggiatore di Miller, è un alter ego più avventuroso e solo un po’ meno esaltato del Jordan Belfort di The Wolf of Wall Street: con personaggi come questi condivide un’idea di vita che va vissuta solo se ci si aggrappa al sogno giusto e il mito del successo da raggiungere ad ogni costo.
A dirigere questa parabola di caduta negli inferi e di improvvisa rinascita, che incarna bene il concetto di provvisorietà che va da sempre a braccetto con quello di Sogno americano, c’è Stephen Gaghan, già regista di Syriana, con una interessante carriera di sceneggiatore alle spalle (ha scritto, tra gli altri, Regole d’onore di Friedkin e Traffic, il film di Steven Soderbergh per cui ha vinto un oscar per la sceneggiatura). E questo è forse il problema più evidente di Gold – La grande truffa. Gaghan infatti sembra seguire in modo pedissequo un copione basato sì su una storia forte, ma anche priva di aggiustamenti significativi che possano aumentarne l’appeal cinematografico. In due ore piene di film, infatti, le sequenze memorabili sono poche e tutte definibili tali grazie alla performance di un Matthew McConaughey che una volta di più mette in scena un personaggio borderline al quale aderisce perfettamente. Grasso, pelato, con gli occhi infossati e con il rischio concreto di dar vita a una macchietta ad ogni inquadratura, il Kenny Wells da lui interpretato rimane il motivo principale (se non il solo) per cui vale la pena pagare il prezzo del biglietto. Il resto è una storia di amicizia, ambizione, amore e delusione già ampiamente battuta.
In Italia, poi, il film viene distribuito sottotitolo che definire sbagliato è dire poco. Ora, parliamoci chiaro, quanti di voi si ricordano o hanno mai sentito parlare dello scandalo minerario Bre-X del 1993? Ecco, nessuno. E allora perché non lasciare il titolo originale, quel Gold che non solo non spoilera nulla, ma che ha anche il pregio di riuscire a mantenere la giusta dose di mistero per attirare più pubblico in sala?
Voto 6
Giornalista freelance e blogger, un giorno le è venuta l'idea di aprire questo sito. Scrive di cinema e gossip e nel buio di una sala cinematografica si sente a casa.
Un Matthew McConaughey mattatore salva un film che riserva pochi guizzi e qualche sorpresa.
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