Noi
— 4 aprile 2019Jordan Peele confeziona un horror ricco di suggestioni che valica il genere e ci costringe a guardare in faccia il nostro peggior nemico. Noi stessi.
“Questa è una storia come tante, comincia con un ragazzo troppo grande per essere un bambino e troppo piccolo per essere un uomo“.
Nonostante sfiorino sempre il dramma (come accadeva nei precedenti The Orphanage e The Impossible), le opere di Juan Antonio Bayona esibiscono un fascino gotico e straniante che inquieta e seduce come poche altre. In Sette minuti dopo la mezzanotte il regista spagnolo adatta l’omonimo romanzo di Patrick Ness (sceneggiatore del film) calibrando con raffinato equilibrio questo racconto dalle rilevanti metafore, puntando sulle atmosfere dark, su una sorprendente potenza visiva e su elementi fantastici funzionali a una storia sull’elaborazione del lutto e sul passaggio all’età adulta.
Ispirandosi alle suggestioni del suo padre putativo Guillermo del Toro, ma superandole e arricchendole di escamotage narrativi e nuove fascinazioni visive, Bayona continua dritto per la propria strada, sempre più intenzionato a raccontare storie oscure e incentrate su accadimenti difficili da metabolizzare come può esserlo la morte di una persona cara.
Si fatica a credere che le storie narrate dopo la mezzanotte accadano realmente: le ore buie proiettano la fiaba nel sogno e non si capisce se il gigantesco mostro (Liam Neeson nella versione originale) che emerge da un vecchio e imponente albero Sette minuti dopo la mezzanotte sia frutto dell’immaginazione del dodicenne Conor (Lewis MacDougall) oppure no. Eppure il ragazzo è convinto che il gigantesco albero antropomorfo alto 12 metri sia reale, soprattutto perché è stato a lui a evocarlo per sfuggire alla solitudine. E il mostro si presenta, puntuale ogni sera, alla finestra della sua cameretta a raccontare storie fantastiche che Conor ascolta, dimenticando per un attimo la malattia terminale della madre (Felicity Jones), la severità della nonna (Sigourney Weaver), la distanza emotiva e geografica del padre (Toby Kebbell) e il bullismo di cui è vittima a scuola. Senza tralasciare il fatto che ha stretto un patto col mostro: alla fine del ciclo di fiabe, toccherà a lui raccontare la sua “verità”.
L’intera trama di Sette minuti dopo la Mezzanotte (arricchita dalle splendide sequenze animate dale integrazioni di disegni e acquarelli di Jim Kay, già illustratore per Harry Potter) converge verso un esito finale che svela il significato profondo dei racconti notturni dell’albero. Ci si perde, come accade a Conor, tra ciò che sembra e ciò che è, tra la fantasia e la realtà, mentre si percepisce in modo tangibile tutta la fatica di crescere. È a quel punto che la mente può giocare brutti scherzi, iniziando a credere a bugie confortanti mentre conosce le dolorose verità che rendono necessarie quelle bugie. Niente è come sembra, dalle storie raccontate dal mostro a quello che accade al ragazzo, perché la verità non è mai una sola ed è complessa. Più di quanto immaginiamo. Sempre.
Bayona è un maestro nel ricreare le atmosfere (perfetta la fotografia Oscar Faura) e i sentimenti del giovane protagonista imprigionato in una sorta di limbo, uno spazio ibrido della sua vita che sembra stringerglisi al collo togliendogli il respiro, e Lewis MacDougall è di una tenerezza disarmante nell’interpretarlo. Come anche il resto del cast, da nonna Sigourney Weaver a mamma Felicity Jones. E poi c’è il mostro, un essere inizialmente distaccato che si fa largo nella storia sempre più, fino a diventare l’elemento fondamentale nella crescita di Conor.
È un mondo triste, quello di Bayona, sempre pieno di malinconia e di rimpianti, ma è anche un mondo autentico e primigenio in cui è sempre bello perdersi e ritrovarsi.
Voto 7,5
Giornalista freelance e blogger, un giorno le è venuta l'idea di aprire questo sito. Scrive di cinema e gossip e nel buio di una sala cinematografica si sente a casa.
Feroce e commovente, la fiaba gotica di Juan Antonio Bayona in cui niente è come sembra sbarca al cinema.
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