Sicilian Ghost Story

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Può una storia di mafia, se filtrata attraverso lo sguardo di una ragazzina di tredici anni, somigliare a una fiaba?
Secondo Fabio Grassadonia e Antonio Piazza – alla loro seconda regia dopo Salvo – evidentemente sì.
Solo che è una fiaba nerissima, in cui all’insostenibilità del quotidiano si contrappongono le infinite possibilità del sogno.
È infatti nei sogni che la piccola Luna (Julia Jedlikowska) riesce ad illudersi di poter salvare il suo principe azzurro Giuseppe (Gaetano Fernandez), strappato alla famiglia e all’amore di lei perché figlio di un mafioso pentito.
La realtà da cui Luna cerca a tutti i costi di fuggire fa ancora più paura perché è ispirata a un tragico evento realmente accaduto: il rapimento, avvenuto nel 1994, di Giuseppe Di Matteo, tenuto sotto sequestro per più di due anni e poi disciolto nell’acido.
Ma, essendo questo Sicilian Ghost Story anche una fiaba, ecco che la Sicilia rappresentata al suo interno, più che a Sciascia, faccia pensare al bosco oscuro dei Grimm.



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Peccato solo che al film di Grassadonia e Piazza, delle fiabe, manchi quasi del tutto la sintesi.
L’impressione è che i due autori abbiano voluto tagliare il meno possibile, allungando così oltremodo un racconto che, con una buona mezzora di meno, avrebbe lavorato assai meglio.
Il principale difetto del film – forse addirittura l’unico – gli è però fatale e ne inficia irrimediabilmente la fruizione.
Ed è un peccato perché le suggestioni visive (fatte in egual misura delle profondità dei fondali lacustri come delle superfici umide e aspre di una grotta) sono quelle giuste, così come funziona il ricorso a un mondo animale che – come il cane rabbioso che aggredisce i due innamorati all’inizio del film – per quanto selvatico, non potrà mai toccare i picchi di ferocia dell’uomo.
A Sicilian Ghost Story, che ha aperto ieri la Semaine de la Critique al Festival di Cannes, viene da augurare comunque il meglio, sia per il coraggio degli intenti che per il potere ipnotico di certe soluzioni visive.
Certo, resta il rimpianto per il film che avrebbe potuto essere se solo si fosse rinunciato ad almeno un paio delle quattro o cinque scene finali che si susseguono quando l’epilogo è ormai già tristemente chiaro.

Voto 5,5

 

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Fabio Giusti

Da sempre convinto che, durante la proiezione di un film, nulla di brutto possa accadere, ha un passato da sceneggiatore, copywriter e altre prescindibili attività. A parte vedere film fa ben poco.

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