Codice criminale

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Il crimine, nella sua accezione più squisitamente cinematografica, ha spesso a che fare con difficili dinamiche familiari. Senza per forza scomodare i Corleone, basti pensare ai gemelli Kray del recente Legend e alla (splendida) serie TV Peaky Blinders, anche solo per restare in Gran Bretagna.
E, nell’inglesissimo Codice criminale, l’elemento “famiglia” è quasi più centrale del crimine stesso, che, nel caso di Colby Cutler (Brendan Gleeson) e di suo figlio Chad (Michael Fassbender), viene declinato per lo più in furti di poco conto e scorribande ubriache in giro per il Gloucestershire. Come se a contare non fosse tanto l’utile che si trae dall’atto del delinquere quanto più il semplice gesto del contrapporsi a qualsivoglia forma di autorità, che sia l’odioso bobby interpretato da Rory Kinnear o l’istituzione scolastica.
Perché i Cutler sono “nomadi” nell’accezione più ampia del termine, a partire dal rifiuto ostinato di appartenere a una comunità che non sia formata da una serie di roulette disposte attorno a un fuoco, fino al mettere in discussione verità considerate ormai assiomatiche – per lo meno dai “gorgie”, termine dispregiativo con cui Colby chiama chiunque viva al di fuori dalla sua cerchia – come che la terra sia tonda. Il problema è che Chad, oltre ad essere figlio, è a sua volta padre di Ty, un bambino di soli sette anni per il quale vorrebbe una vita diversa dalla sua e che invece subisce in maniera sempre più forte la fascinazione del suo pericoloso stile di vita.



Trespass-Against-Us

Il senso dell’opera prima di Adam Smith è, di fatto, tutto nel suo titolo originale.
Quel Trespass Against Us che, oltre a citare il Padre nostro, evidenziando così la natura fortemente biblica del dramma familiare rappresentato, suggerisce il radicale ribaltamento di prospettiva da parte di una comunità di trasgressori che, pur percependosi come tale, vive il mondo esterno come una minaccia verso l’integrità del proprio status di outsider.
Se il patriarca Colby richiama alla mente la figura di padre burbero di quel capolavoro sottovalutato che è Niente per bocca di Gary Oldman (del resto il protagonista di quell film, Ray Winstone, e Gleeson sono attori simili e quasi intercambiabili, non solo per stazza), la visione del nucleo familiare vissuto come comunità chiusa e autosufficiente non può non ricordare Animal Kingdom.
Anche se il fulcro di Codice criminale è senza alcun dubbio Fassbender che, oltre a indovinare il primo film da Steve Jobs, dona al personaggio di Chad tutta la complessità insita nel trovarsi in bilico tra un ambiente che, per quanto inospitale, si è abituati a percepire come casa e la volontà di garantire ai propri figli un future migliore.

Attraverso di lui Smith costruisce un apologo (anti)morale in cui il pubblico è, per forza di cose, costretto a empatizzare con idealtipi umani sgradevoli le cui azioni non vengono mai in alcun modo giustificate – come parte della critica estera ha erroneamente sentenziato – ma semmai contestualizzate.
Man mano che il protagonista sviluppa una coscienza più lucida muta anche lo stile visivo del regista che, da documentaristico, si fa più astratto fino a un finale che, nel suo aprirsi al sogno come ultimo spiraglio di speranza, in parte pregiudica la componente più cupa e noir della pellicola. Ma, se si considera come l’insospettabile punto di partenza ispirativo dietro questo Codice criminale sia la sgangherata comunità gitana descritta da Emir Kusturica in Gatto nero, gatto bianco, anche il suo epilogo sembra acquisire un senso.
È un film bello e potente Codice criminale, con un paio di scene di livello assoluto (la corsa in macchina iniziale e la fuga notturna di Fassbender tra i boschi), due protagonisti in stato di grazia e giusto qualche caduta di ritmo.
Oltre al fatto di porre l’attenzione su un fenomeno sociale, quello dei pavee, poco rappresentato al cinema, se non in misconosciuti (e soprattutto mal distribuiti) film irlandesi come King of the Travellers di Mark O’Connor e il bel documentario del 2005 Pavee Lackeen.

Voto 6,5

 

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Fabio Giusti

Da sempre convinto che, durante la proiezione di un film, nulla di brutto possa accadere, ha un passato da sceneggiatore, copywriter e altre prescindibili attività. A parte vedere film fa ben poco.

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