Noi
— 4 aprile 2019Jordan Peele confeziona un horror ricco di suggestioni che valica il genere e ci costringe a guardare in faccia il nostro peggior nemico. Noi stessi.
Obiettivamente difficile rilanciare in maniera credibile un franchise parecchio usurato come quello di Spider-Man a soli tre anni da The Amazing Spider-Man 2 – Il potere di Electro.
Se l’operazione di reboot a firma Marc Webb rispondeva in qualche modo all’esigenza di aggiornare le avventure di quello che una volta chiamavamo l’Uomo Ragno a uso e consumo di una generazione per cui la trilogia di Sam Raimi era comunque storia troppo vecchia (anche solo per la totale assenza di smartphone tra le mani dei protagonisti) la pretesa di rielaborarlo quasi subito e in versione teen destava invece più di una perplessità.
Per fortuna, a rendere fluida la transizione ci pensano quegli stessi Avengers che già in Captain America: Civil War avevano accolto, sebbene in maniera periferica, un Peter Parker quindicenne tra le proprie fila rilanciandolo in termini di pura coolness e, allo stesso tempo, aggiungendo un prezioso tassello al sempre più stratificato (e complesso) universo narrativo della Marvel.
Spider-Man: Homecoming prende le mosse proprio da quella sortita berlinese, utile a Jon Watts per costruire uno degli assi portanti del film, ossia lo spassoso rapporto mentore/allievo che si sviluppa tra il giovane Peter (il notevole Tom Holland) e Tony Stark (Robert Downey Jr.).
Il fatto che le immagini relative a tale incontro abbiano la forma di un video amatoriale girato dallo stesso Peter con un cellulare (ché il passo da fotografo a moderno Youtuber, in fin dei conti, è assai breve), insieme all’utilizzo adorabilmente diegetico di ‘Hey Ho, Lets Go!‘ dei Ramones, suggerisce inoltre il vero mood dell’opera, che è indiscutibilmente punk.
Punk come può essere solo un goffo supereroe di quindici anni pieno di inesperienza, entusiasmo e voglia di mettersi in luce di fronte ai “colleghi” più adulti.
La giovane età del protagonista consente a Watts di costruire il film come un ibrido tra un classico cinecomic e un teen movie à la John Hughes – deus ex machina, con Breakfast Club e Bella in rosa, dei due archetipi narrativi utilizzati tutt’oggi da chiunque voglia raccontare una storia che abbia come protagonisti degli adolescenti – in cui questa seconda componente prende spesso il sopravvento sulla prima.
Se infatti qualunque film su Spider-Man non può prescindere dal contemplare al suo interno un racconto di formazione, qui questo viene amplificato all’ennesima potenza fino a diventare il fulcro del racconto, con tanto di amico nerd, bulletti del liceo, primo amore e ballo di fine anno, l’homecoming del titolo per l’appunto.
Altra grande intuizione è la scelta di un villain che, per la prima volta, non risulta essere un mutante affetto da deliri di onnipotenza, bensì un fiero rappresentante della middle class americana accecato dal desiderio di accedere a una ricchezza che, di fatto, il Governo gli preclude.
Parliamo, ovvio, dell’Avvoltoio interpretato magnificamente da un Michael Keaton che in poco più di due ore cortocircuita il senso di un’intera carriera, oscillando tra il Batman di Tim Burton e il recente (e già oltremodo metatestuale) Birdman.
Quanto detto finora basterebbe già per rendere questo Spider-Man: Homecoming non solo una bella ventata di aria fresca a un brand abbastanza bollito ma addirittura il migliore dei film che fosse possibile tirar fuori nel 2017 dal personaggio di Stan Lee e Steve Ditko.
Ma c’è di più.
Innanzitutto c’è l’assenza di qualsiasi spiegone su come Peter Parker abbia acquisito i suoi poteri, e non è poco.
Nessuna puntura di ragno radiattivo, Oscorp Industries o zii che muoiono vaticinando di grandi responsabilità insomma, tanto la storia ormai la conoscono anche i muri.
Questo – unito a un utilizzo dell’ironia che avvicina il film più al versante comedy di un Ant-Man che non a quello, comunque leggero, degli Avengers – contribuisce in maniera significativa a dare velocità e secchezza a un cinecomic che fila via dritto come un treno, dall’inizio alla fine delle sue due scene post-credits.
Voto 7,5
Da sempre convinto che, durante la proiezione di un film, nulla di brutto possa accadere, ha un passato da sceneggiatore, copywriter e altre prescindibili attività. A parte vedere film fa ben poco.
È un Peter Parker millennial quello di Tom Holland, splendidamente introdotto nel Marvel Cinematic Universe.
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