Noi
— 4 aprile 2019Jordan Peele confeziona un horror ricco di suggestioni che valica il genere e ci costringe a guardare in faccia il nostro peggior nemico. Noi stessi.
Quando ci si trova davanti a un personaggio tanto estremo come quello di Tonya Harding, non c’è da stupirsi che sia divenuto un film. La fortuna è che la pellicola diretta da Craig Gillespie (Fright Night, Lars e una ragazza tutta sua) non è uno di quei biopic nati con l’intento di ricostruire e far conoscere una figura controversa, magari presentandola sotto una nuova luce, bensì una dark comedy degna dei Coen, cinica e impietosa, in cui comico e grottesco si mescolano perfettamente nel riuscito ritratto di una delle pattinatrice più note di sempre. Non è tutto vero, quello che vediamo in Tonya, come viene specificato all’inizio del film ma, drammaticamente, tutto verosimile. Nel corso di una narrazione che alterna ricostruzioni di confessioni e biografia tradizionale, Gillespie racconta il punto di vista di ogni persona coinvolta nella vicenda, mostrandone un quadro piuttosto esaustivo, nonostante l’incertezza dei fatti. Un mockumentary su quell’America fatta di famiglie disagiate, botte e sbronze in cui si incastra a meraviglia la parabola discendente della vita di Tonya e che ricostruisce lo scioccante caso di cronaca che nel 1994 coinvolse due pattinatrici olimpiche, la Harding appunto e la giovane promessa Nancy Kerrigan. L’una rozza e tutt’altro che femminile e l’altra aggraziata ed elegante, colpita gravemente a un ginocchio dopo un allenamento in circostanze ancora non del tutto chiarite. La federazione di pattinaggio degli Stati Uniti decise di bandire la allora ventitreenne Tonya Harding a vita, dopo che dalle indagini risultò che Jeff Gillooly, suo ex marito, in accordo con lei, aveva pagato l’aggressore affinché colpisse la Kerrigan alle gambe con una sbarra.
Tonya fu comunque la prima pattinatrice americana ad eseguire un perfetto triplo axel, il salto più difficile nel pattinaggio, e inizialmente passò alla storia proprio per questo. Cresciuta nell’America rurale con una madre violenta e anaffettiva (interpretata da una Allison Janney giustamentepremiata con l’Oscar) è anche figlia di un tessuto sociale che non concede alcuna chance ai suoi, destinati a combattere tutta la vita per ottenere solo briciole per colpa di un sistema sportivo malato che predilige sobri costumi di scena alle paillettes e atlete anodine a quelle dotate di temperamento. Tonya è rude e sgraziata, le giurie non la amano perché, nonostante il suo straordinario talento, con il suo carattere può compromettere l’immagine degli USA agli occhi del mondo. Sfacciata e miserabile, legnosa e fragile, la Harding è perfetta per finire sotto la gogna mediatica e l’interpretazione di Margot Robbie restituisce perfettamente la complessità del personaggio, regalando a chi guarda una performance impegnativa sia fisicamente che emotivamente, calibrata e priva di sbavature in ogni sua parte.
Scritto da Steven Rogers (Nemiche amiche, Natale all’improvviso), Tonya risulta un film riuscito anche per lo stile registico attraverso il quale Craig Gillespie ha scelto di raccontare questa bizarra storia di tentata rivalsa. Carrelli che inseguono Margot Robbie sulla pista di ghiaccio come tra le mura di casa, primi piani che ne esaltano le poche gioie e i tanti dolori, e la vicenda sportiva che non smette mai di essere anche umana.
Voto 8
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