Noi
— 4 aprile 2019Jordan Peele confeziona un horror ricco di suggestioni che valica il genere e ci costringe a guardare in faccia il nostro peggior nemico. Noi stessi.
«Se vi dovessi parlare di lei, la principessa muta, che potrei dirvi? Vi dovrei parlare del quando? È successo tanto tempo fa durante gli ultimi giorni di regno di una Principessa delle fate. O vi dovrei parlare del posto? Una piccola città vicino alla costa ma lontano da qualsiasi altra cosa. O forse dovrei mettervi in guardia sulla veridicità di questi fatti e sulla favola dell’amore e della perdita, e del mostro che ha tentato di distruggere tutto».
Non siamo in IT ma anche ne La forma dell’acqua è tutto un galleggiare. La fiaba dark di Guillermo del Toro vincitrice del Leone d’Oro a Venezia 74 e in corsa per 13 Oscar è una storia d’amore in cui i personaggi fluttuano alla ricerca di una riconciliazione con la natura e con la società che li ha etichettati come diversi.
Siamo a Baltimora nel 1962. Elisa (incredibile Sally Hawkins), è una donna muta che lavora in un laboratorio scientifico di massima segretezza sotto la direzione del perfido colonnello Strickland (Michael Shannon). Impiegata come donna delle pulizie, Elisa è legata da profonda amicizia a Zelda (Octavia Spencer), la sua collega afroamericana costretta a combattere per far valere i propri diritti sia a casa che sul lavoro, e a Giles (Richard Jenkins), il suo vicino di casa gay, un disegnatore anch’egli continuamente discriminato. Un giorno, nel laboratorio, viene portata una creatura anfibia dall’aspetto umanoide (Doug Jones) alla quale Elisa si avvicina sempre di più, riuscendo a instaurare una tenera complicità.
La Bella e la Bestia? Certo. King Kong? Anche. E poi Il mostro della laguna nera, la pellicola cult di Jack Arnold, di cui l’uomo anfibio rappresenta una versione aggiornata non solo nella fisionomia, dato che entrambi vengono trovati in Sud America e catturati per essere studiati al fine di creare una tecnologia che consenta agli astronauti di respirare nello spazio). Poi c’è il contesto storico – siamo in piena Guerra fredda – che, esattamente come accadeva ne La spina del diavolo e ne Il labirinto del Fauno, anche se lì sullo sfondo c’era la Spagna franchista, incornicia gli avvenimenti caricandoli di una tensione narrativa angosciante e sostenuta. Lo schema adottato è dei più classici, ma a fronte di questa semplicità di fondo, del Toro affianca le raffinate digressioni in altri generi, dall’horror, al musical, passando per la spy-story, le ambientazioni curate nel più minimo dettaglio, una malinconica colonna sonora composta da Alexandre Desplat e tutto quell’ “arrangiamento estetico” che arricchisce la melodia di base fino a farla diventare una fantasmagoria visiva avvolgente e sofisticata dominata dai toni del verde e dell’azzurro.
Da sempre attratto dai freak, dagli emarginati e dai diversi – proprio come Tim Burton – questa volta del Toro affronta il fantastico in modo ancora più adulto e raffinato del solito e, nel farlo, sceglie di non eliminare lo sporco, operazione che viene implicitamente compiuta in ogni fiaba, ma lo lascia, rendendolo un elemento portante della storia. L’apice di questo discostarsi dalla tradizione lo troviamo nell’aspetto più carnale del rapporto tra Elisa e l’affascinante uomo anfibio, attraverso il quale si rende esplicito quello che nell’archetipo è sempre stato implicito.
Altro elemento fondamentale de La forma dell’acqua è l’omaggio al cinema del passato che diventa evasione dalla realtà per i personaggi ingabbiati in una società che li ripudia: l’appartamento di Elisa si trova sopra il cinema Orpheum che proietta il kolossal biblico La storia di Ruth e il musical con Pat Boone Mardì Gras, un cinema in cui, dice l’esercente “non entra più nessuno”. E nell’appartamento di Giles la TV trasmette i film di Shirley Temple e i balletti di Carmen Miranda. Di contro, il mostro. Non l’uomo pesce, ma quello creato dal sogno americano che è sul punto di sgretolarsi (Kennedy sarà assassinato di lì a poco mentre la Guerra del Vietnam è in pieno svolgimento), perfettamente incarnato dal personaggio di Michael Shannon, razzista conservatore ossessionato dall’apparenza.
Il resto è meglio che lo vediate con i vostri occhi.
Voto 8,5
Giornalista freelance e blogger, un giorno le è venuta l'idea di aprire questo sito. Scrive di cinema e gossip e nel buio di una sala cinematografica si sente a casa.
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