Non ci resta che il crimine

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La solita commedia? Ni. Al suo sesto film da regista e dopo l’ultimo e piuttosto insipido Beata Ignoranza, Massimiliano Bruno si lancia in un progetto il cui titolo è un sentito omaggio la pellicola di Benigni del 1984, senza però averne la dirompenza e l’estro. Aiutato in fase di sceneggiatura da Nicola Guaglianone (autore, tra gli altri, di Lo chiamavano Jeeg Robot e Benedetta follia), Andrea Bassi e dal fumettista Menotti, questa volta il regista romano porta alla ribalta la storia di tre amici, Sebastiano, Moreno e Giuseppe – rispettivamente Alessandro Gassman, Marco Giallini e Gianmarco Tognazzi – per i quali l’arte di arrangiarsi è uno stile di vita, tanto da inventare modi sempre più creativi per “fare i soldi con la pala”. Quando decidono di organizzare un tour della Roma Criminale alla scoperta dei luoghi della banda della Magliana, accade qualcosa che li catapulta nell’estate del 1982, nei giorni del Mondiale di Spagna. Ritrovandosi faccia a faccia con il vero Enrico De Pedis, detto Renatino (Edoardo Leo) – storico capo della banda – che all’epoca gestiva le scommesse clandestine sul calcio, i tre tentano, sfruttando le loro conoscenze sul futuro, di cogliere quest’opportunità per lasciare alle spalle la mediocrità delle loro vite.



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La Banda della magliana in chiave comica effettivamente è un bell’azzardo. Sarà perché, a distanza di trent’anni, la memoria delle tante efferatezze compiute è ancora viva nelle menti di chi quegli anni li ha vissuti, o perché dopo tutto questo tempo, i sequestri dei beni appartenuti ai suoi esponenti continuano a far notizia (proprio qualche giorno fa sui giornali si leggeva dei 25 milioni di euro del tesoro della banda, confiscato a uno dei suoi esponenti, Ernesto Diotallevi, che è andato a finire nelle casse dello Stato). Ma il rischio di ridicolizzare e di alleggerire eccessivamente un pezzo di storia criminale recente tanto oscuro, viene fugato sin dall’inizio, perché quella che vediamo nel film, si chiama nello stesso modo e ha i membri che riprendono i nomi dei veri esponente della gang criminale, ma è tutta un’altra cosa.

E funziona. Funziona perché in questo Ritorno al Futuro italian style che incontra Non ci resta che piangere, che si mescola con Romanzo Criminale e strizza l’occhio alla trilogia di Smetto quando voglio e ai poliziotteschi anni Settanta, a vincere sono ironia e leggerezza, oltre alla palese inverosimiglianza di una vicenda che non ha alcuna pretesa di fingersi storicamente credibile. Tra Ray-Ban specchiati, motorini Ciao, ghiaccioli tricolore, figurine di Paolo Rossi e Figueroa e le pubblicità dei Pennelli Cinghiale e delle batterie Duracell in TV, anche la regia di Bruno si diverte a imitare lo stile del cinema di genere degli anni Ottanta, puntando su split screen e zoom sui primi piani dei protagonisti, soluzioni mirate a sporcare la pulizia stilistica, le inquadrature chiare e la recitazione funzionale tipica della commedia. Nulla di nuovo, poi, sul fronte della struttura narrativa, che continua a reiterare uno schema già ampiamente visto e sfruttato. Ma la sinergia tra gli attori e qualche battuta azzeccata e Ilenia Pastorelli con indosso la tutina che fu di Heather Parisi, fanno portare a casa il risultato.

Voto 6

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Carolina Tocci

Giornalista freelance e blogger, un giorno le è venuta l'idea di aprire questo sito. Scrive di cinema e gossip e nel buio di una sala cinematografica si sente a casa.

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