Noi
— 4 aprile 2019Jordan Peele confeziona un horror ricco di suggestioni che valica il genere e ci costringe a guardare in faccia il nostro peggior nemico. Noi stessi.
Ottantanove anni a maggio, di cui gli ultimi sessanta dedicati al cinema in tutte le sue forme. Attore, regista, produttore e compositore (numerosi i film dei quali ha firmato anche il commento musicale), Clint Eastwood torna a dirigersi ne Il corriere – The Mule. Dopo una trilogia che ha celebrato l’eroismo dell’uomo comune (American Sniper, Sully e Ore 15:17 Attacco al treno), l’ex ispettore Callaghan si riavvicina alle atmosfere che hanno reso indimenticabile Gran Torino (lo sceneggiatore è lo stesso: Nick Schenk, che ha attinto a una storia vera pubblicata in un articolo del “New York Times”) per raccontare la vicenda, alquanto bizzarra, di un uomo alla soglia dei novant’anni, Earl Stone, che ha perso praticamente tutto. I fiori che coltivava, e che fioriscono un solo giorno, e la sua azienda erano la sua unica priorità, per questo ha trascurato la famiglia, tanto da essere allontanato dalla moglie (Dianne Wiest) e dalla figlia Iris (Allison Eastwood, una delle figlie di Clint). L’unica ancora disposta a credere in Earl è sua nipote Ginny (Taissa Farmiga), che sta per sposarsi e confida nel sostegno economico del nonno per il matrimonio. Ma Earl è al verde. Almeno finché il caso non gli offre una strana occasione: diventare un corriere della droga per un cartello messicano.
Il cinema di Eastwood continua così a essere portatore di valori crepuscolari, con l’ombra del rimpianto sempre in agguato, mentre si interroga in modo quasi ossessivo sul rapporto tra passato e presente: su quello che c’era e che si è perso e sulla corsa contro il tempo per tentare di recuperarlo. Ma The Mule è anche un manifesto dei valori in cui Eastwood, da fiero repubblicano vecchio stampo, ha sempre creduto: l’onore, l’etica, il lavoro, la famiglia, il potere, e una fede incrollabile nel proprio Paese, nonostante i commenti aspri e ruvidi alla politica americana in generale («Tutti annoiano tutti. Sono stanco di ascoltare questa merda. Questi candidati mi annoiano… Ma a novembre voterò Trump perché comunque è uno tosto» ha affermato in un’intervista nel 2016 mentre era sul set di Sully).
Perfettamente equilibrato, con un ritmo saldo e uniforme e una narrazione di stampo classico, The Mule è un lavoro molto personale, e non solo perché si sofferma a tratteggiare i lineamenti di un vecchio eroe reazionario e la sua vulnerabilità con ironia e leggerezza (che non è superficialità). Lo è perché mette in scena una profonda riflessione sull’effimero e sulla caducità del tempo. Quello che vediamo davanti alla macchina da presa è un Eastwood empatico e irresistibile, mentre canticchia brani country e soul macinando chilometri lungo le autostrade vuote del Midwest mentre trasporta chili di cocaina nel bagagliaio del suo pick-up. Quello che invece non vediamo, l’Eastwood regista, più malinconico, è come se volesse suggerire a Earl Stone, suo “io sullo schermo”, di prendersi tutto il tempo di cui ha bisogno, ormai perfettamente consapevole di quanto questo valga mille volte di più del carico che deve consegnare.
Voto 8
Giornalista freelance e blogger, un giorno le è venuta l'idea di aprire questo sito. Scrive di cinema e gossip e nel buio di una sala cinematografica si sente a casa.
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