Noi
— 4 aprile 2019Jordan Peele confeziona un horror ricco di suggestioni che valica il genere e ci costringe a guardare in faccia il nostro peggior nemico. Noi stessi.
Cacciato dal Paradiso terrestre di Cannes nel 2011, a seguito di alcune infelici uscite antisemite durante una conferenza stampa, e riammesso lo scorso anno ma nel “Purgatorio” del Fuori concorso, Lars von Trier ha portato sulla Croisette quello che è il suo film visivamente più estremo. Il che è tutto dire. Tra gli autori contemporanei più innovativi e visionari, provocatore dentro e fuori dal set, anche nel caso de La casa di Jack non ha rinunciato ad abbracciare una poetica e a un’estetica sicuramente originali e all’insegna della continua ricerca espressiva. Qui è la storia di Jack (un ottimo Matt Dillon) ad essere plasmata dalle mani del regista demiurgo danese, un ingegnere con sogni da architetto i cui disturbi psichici lo portano a uccidere persone e a vedere nell’atto dell’omicidio la massima forma d’arte. Siamo negli anni Settanta, in un’America di provincia non meglio definita e la vicenda viene narrata dallo stesso Jack, che svolge per tutto il film un dialogo fuori campo con un misterioso Virge (Bruno Ganz, qui nel suo ultimo ruolo), ed è scandita in cinque incidenti, cinque diversi omicidi che raccontano l’evoluzione psicologica e “artistica” del serial killer maniaco della pulizia. E un epilogo-catabasi di virgiliana e dantesca memoria.
C’è un’ossessione estetizzante che si dipana attraverso tutta la prospettiva del film e, quando la ricerca del bello non gli basta più, von Trier punta al sublime. I temi toccati sono innumerevoli, si va dal concetto di impunità a quello di colpa, dal grido di denuncia nei confronti di una società intontita e narcotizzata fino a una sorta di ricapitolazione del suo cinema e della sua stessa visione del mondo. Si “cita addosso” varie volte, interrompe la linea narrativa del film con sofisticati intermezzi: c’è Glenn Gould che suona il piano, ci sono vari rimandi alla cultura tedesca, a William Blake e ai suoi demoni, alla pittura di Delacroix, all’iconografia classica e alle illustrazioni della Divina Commedia di Gustave Doré. È chiaro come, ancora una volta, si tratti di un cinema provocatorio e pulsionale, volutamente disturbante, che gode nel creare fastidio visivo, abbattendo ogni forma di omologazione espressiva per andare alla ricerca del diverso a ogni costo.
Su tutto questo miscuglio di citazioni e riferimenti eruditi, così come nella storia principale de La casa di Jack, aleggia una crudeltà gelida e inflessibile, che si lascia penetrare solo da un sense of humor a dir poco macabro. Due ore e venti sulle montagne russe, e quando scendi ti fermi un attimo a pensare a quale potrebbe essere il passo successivo di von Trier perché, che piaccia o meno, è uno di quelli che avranno sempre qualcosa da dire. I titoli di coda sulle note di Hit the road Jack sono la degna conclusione per questo folle, denso, incredibile viaggio alle origini delle più profonde radici del male. E allora Hit the road Jack, and don’t you come back no more, no more, no more, no more. Invece Lars, tu rimani, che il cinema ha ancora bisogno della tua delirante follia.
Voto 7,5
LA CASA DI JACK, ULTIMO FILM DI LARS VON TRIER SOLO PER MAGGIORENNI
La Società di Distribuzione Cinematografica Videa SpA, da sempre impegnata nella diffusione di opere cinematografiche dalla forte connotazione autoriale, ha deciso di distribuire LA CASA DI JACK, l’ultimo controverso film di Lars Von Trier, in due versioni, alle quali la censura ha dato VM 18,.
La versione italiana sarà distribuita con tagli nelle scene più cruente e violente, mentre la versione in lingua originale sottotitolata rispetterà l’integrità dell’opera del regista.
Giornalista freelance e blogger, un giorno le è venuta l'idea di aprire questo sito. Scrive di cinema e gossip e nel buio di una sala cinematografica si sente a casa.
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