Noi
— 4 aprile 2019Jordan Peele confeziona un horror ricco di suggestioni che valica il genere e ci costringe a guardare in faccia il nostro peggior nemico. Noi stessi.
Sudafrica, 1994. Le prime elezioni libere del paese, a cui partecipano anche i cittadini di pelle nera, portano alla presidenza Nelson Mandela. Per riunire uno stato in cui la memoria dell’Apartheid e delle differenze sociali è ancora troppo vicina, il nuovo leader approfitterà del mondiale di Rugby, assegnato al Sudafrica nel 1995, per coinvolgere il mondo dello sport nel suo piano di abbattimento delle barriere tra bianchi e neri. Così gli Springboks, la nazionale sudafricana di Rugby capitanata da François Pienaar che negli anni Ottanta era stata bandita dai campi di gioco a causa dell’apartheid, ritorna in primo piano. Il rugby è da sempre lo sport più seguito dagli Afrikaner che affollano gli eventi sportivi di questa disciplina, mentre ai cittadini sudafricani di colore viene assegnato un piccolo settore dello stadio, ennesima metafora delle spaccature che attanagliano il paese. In occasione della cerimonia d’apertura del campionato mondiale di Rugby, Mandela entra in campo con la maglia verde e oro degli Springboks, seguito da oltre un miliardo di persone in TV, diventando il simbolo della neonata Repubblica del Sudafrica.
A distanza di qualche anno da Million Dollar Baby, Clint Eastwood torna a servirsi della metafora sportiva per raccontare un’altra storia con la semplicità e la fluidità che lo contraddistinguono. E con Invictus il regista centra l’ennesimo bersaglio. La pellicola, tratta dal romanzo di John Carlin Ama il tuo nemico, non è esattamente un biopic su Mandela e perde in più di un’occasione le distanze dal genere, con la storia che si concentra soprattutto su un momento della sua vita, mentre la vera protagonista sembra essere la squadra degli Springboks. I ventisette anni di prigionia che Mandela ha trascorso in carcere sfiorano appena la vicenda, anche se il peso di ciò che accadde in quell’angusta cella di cinque metri quadri, si ripercuote inevitabilmente sugli eventi narrati da Eastwood.
Morgan Freeman è alle prese con uno dei suoi personaggi più riusciti, non a caso l’interpretazione di Mandela gli è valsa una giustificatissima nomination all’Oscar. Anche Damon fa la sua parte nei panni del capitano degli Springboks, un ragazzone semplice cresciuto a rugby e proteine, (altra nomination, ma come Non Protagonista). L’aspetto che conquista di più di Invictus resta comunque la semplicità di una trama tutto sommato esile, anche se ricca di rimandi a imponenti tematiche politiche e sociali, che possiede una forza narrativa davvero notevole. La seconda parte del film, poi, quella dedicata al campionato e quasi interamente girata sul campo da gioco, risulta avvincente anche per chi non sa nemmeno che forma abbia un pallone da rugby. Se si vuole cercare un difetto, forse il film può risultare un po’ troppo buonista in certi momenti, ma il messaggio di Mandela che esce “invictus” dal carcere e del suo carisma tenuto in piedi da un’ infaticabile volontà, non possono non lasciare il segno.
Voto 7
Giornalista freelance e blogger, un giorno le è venuta l'idea di aprire questo sito. Scrive di cinema e gossip e nel buio di una sala cinematografica si sente a casa.
Un’altra regia asciutta ed emozionante per il mitico Clint Eastwood, che continua a non sbagliare un colpo.
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