Noi
— 4 aprile 2019Jordan Peele confeziona un horror ricco di suggestioni che valica il genere e ci costringe a guardare in faccia il nostro peggior nemico. Noi stessi.
Ci si entra subito, nel mondo di Benjamin Button, riflettendo su tutto ciò che comporta il nascere già vecchi. Non solo per il predestinato, ma anche e soprattutto, per chi gli sta accanto.
David Fincher è un regista tecnicamente ineccepibile, ma nonostante questo, viene da chiedersi perché abbia scelto di far durare il film così tanto. Il cast è discreto, l’unica a brillare veramente sin dalle prime scene in cui appare è Cate Blanchett.
Si avverte inoltre la mancanza di un sottotesto solido e una o più strutture narrative che accompagnino la storia principale. Mancano del tutto i riferimenti all’epoca in cui Benjamin vive (e qui è impossibile non pensare a Forrest Gump, forse Fincher avrebbe fatto meglio a prendere in prestito qualcosa dal film di Zemeckis). Nonostante questo, Benjamin Button emoziona, anche se non abbastanza da giustificare tredici candidature all’Oscar.
Il racconto di Francis Scott Fitzgerald da cui il film è tratto non è solo la storia di una vita vissuta al contrario. Fa riflettere. Su come, in fondo, tutto passi, che sia l’acne o le rughe. Su come, alla fine, i problemi da affrontare in una vita ci siano sempre, sia che ci si diriga nella direzione giusta, (ma forse sarebbe più corretto dire comune), sia che si vada in quella sbagliato, quella in cui va Ben. Forse l’unica differenza consiste nel fatto che chi va nel verso sbagliato, ha in più il problema di non poterlo condividere con nessuno. Ed è proprio per questo che la vita non può essere un palindromo.
Voto 6
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