Noi
— 4 aprile 2019Jordan Peele confeziona un horror ricco di suggestioni che valica il genere e ci costringe a guardare in faccia il nostro peggior nemico. Noi stessi.
Un milione e mezzo di lettori da non deludere. In questo consiste la sfida di Saverio Costanzo che, con una buona dose di coraggio, ha voluto trasporre il best seller di Paolo Giordano (vincitore del Premio Strega nel 2008) per il Grande Schermo. La storia vede protagonisti Alice e Mattia: i due si conoscono, potrebbero amarsi ma si separano (lei si sposa e lui si trasferisce all’estero per lavoro). Si ritrovano più avanti, ormai consci del fatto che hanno molto in comune, ma che allo stesso tempo proprio ciò che condividono li tiene lontani l’uno dall’altra. Entrambi segnati da un’infanzia difficile, vanno avanti per la loro strada, proprio come dei numeri primi, per definizione divisibili soltanto per se stessi e per uno.
E cosa accade quando due numeri primi si incontrano? Nulla di semplice o di prevedibile, almeno nel caso di Alice e Mattia. Saverio Costanzo è un ottimo regista, e con questo film ne dà ulteriore conferma, catapultando lo spettatore in quello che sin dall’inizio assomiglia molto per taglio di inquadrature e stile narrativo, a un film di genere degli anni Settanta. Un Dario Argento riveduto e corretto (con tanto di utilizzo del tema musicale de L’uccello dalle piume di cristallo): insomma un hrror a tutto tondo.
La linearità del romanzo viene destrutturata, frammentata, e ricostruita nella mente di chi guarda solo grazie a un particolare utilizzo della grafica. La solitudine dei numeri primi nelle mani di Costanzo prende una piega inaspettata, all’insegna della teatralità e dell’artificio: i colori sono cupi e saturi, le sfumature non previste. Un film estremo sotto tutti i punti di vista, con attori validi e letteralmente plasmati nella loro fisicità: la Rohrwacher è dimagrita dieci chili e Luca Marinelli ingrassato di quindici per affrontare al meglio la sfida con i rispettivi personaggi. Un profondo senso di angoscia permea l’intera pellicola, che sembra voler analizzare il disagio interiore attraverso l’utilizzo di inquadrature sature che ambiscono alla perfezione formale. Tutto è spiegato nei minimi dettagli, forse troppo. Ma quando uscirete dalla sala, la sensazione di aver visto qualcosa di denso e vischioso non vi abbandonerà tanto facilmente.
Voto 7
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