L’ultimo dominatore dell’aria

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La tentazione per Shyamalan deve essere stata forte: dedicarsi anima e corpo a un progetto mainstream, dopo diverse prove con risultati altalenanti e il successo del Sesto Senso che è solo un ricordo sbiadito. Ha così tentato di tradurre in realtà Avatar, celeberrimo cartoon fantasy, mettendoci dentro tanti effetti speciali e il solito 3D d’effetto. Tradurre in live action dei disegni animati è una manovra fin troppo pericolosa se non si sa dove mettere le mani, e Shyamalan rivela di voler dire troppo su una storia che era perfetta (o almeno, funzionale) nella sua incarnazione televisiva.
L’Avatar, qui inteso in senso induista, è una figura in grado di comunicare con gli Spiriti del Mondo, coloro che vegliano su un mondo diviso in quattro tribù per gli altrettanti elementi naturali: fuoco, terra, acqua e aria. E’ quindi l’unico in grado di mantenere l’equilibrio, e di volta in volta si incarna in un diverso membro di uno dei clan. Ora l’Avatar è misteriosamente scomparso, e la Nazione del Fuoco minaccia il resto del pianeta. Quando sembra che tutti i Nomadi dell’Aria siano stati sterminati, ecco che dal ghiaccio emerge Aang, l’ultimo sopravvissuto della propria stirpe, sul quale grava un destino di riscatto.



Shyamalan sembra voler riscrivere il fantasy partendo da regole tutte sue, ma si perde presto per strada dando troppa corda alla spettacolarità. Il 3D può essere inebriante, ma quando si piegano al suo volere tutte le scelte stilistiche il film perde anima e consistenza. Più banalmente, il regista gestisce male i personaggi e finisce per stereotipizzarli prendendo un po’ dal Signore degli Anelli e fin troppo da Dragon Ball, nel tentativo di trasformare un cartone animato per un pubblico giovanissimo in un grave kolossal epico.
Shyamalan, drammaticamente, non riesce a cogliere il lato divertente che caratterizzava l’originale e l’aria scanzonata che dovrebbe avere una storia con protagonista un bambino, perdendosi in un vortice di scene inutilmente sfarzose. Gli suggeriamo di tornare alle sue storie surreali e con il finale a sorpresa: non saranno sempre perfette, ma almeno hanno personalità.

Voto 4

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Francesco Bernacchio

Appassionato di pop a trecentosessanta gradi, ama il cinema d'evasione, l'animazione e i film che non durino più di due ore.

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