Terraferma

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Acqua e terra. Sono questi gli elementi ricorrenti del cinema di Emanuele Crialese, che ha presentato In Concorso alla 68° edizione del Festival di Venezia la sua quarta pellicola. Poggiandosi sulla solida seppur laconica sceneggiatura scritta a quattro mani insieme con Vittorio Moroni, Terraferma intreccia la storia di un’umile famiglia di pescatori formata da Ernesto (Mimmo Cuticchio), il figlio Nino (Beppe Fiorello), la nuora rimasta prematuramente vedova Giulietta (Donatella Finocchiaro) e il nipote Filippo (Filippo Pucillo), con quella di tre migranti (una madre e i suoi due figli) miracolosamente salvi dopo un viaggio della speranza simile a quelli che riempiono i nostri TG ogni giorno.



Ancora una volta, la terra ferma la cercano tutti nel film di Crialese: Come la sognava la Grazia di Respiro (Valeria Golino), o la famiglia di migranti italiani sulla nave diretta verso il Nuovomondo, qui la agognano gli immigrati lasciati in mezzo al mare sui barconi alla deriva, le madri che vorrebbero rifarsi una vita sperando in un’esistenza migliore per sé e per i propri figli e le nuove generazioni cresciute in un’isola in cui è ancora il mare a scandire i ritmi di giornate sempre uguali. La Terraferma allora non è più solo un luogo, ma diventa il futuro, la ricerca di una realtà più grande dell’utopia che ha fatto superare a Timniti, (che non è un’attrice ma la vera sopravvissuta di una traversata dall’Africa a Lampedusa, durante la quale ha visto morire quasi tutti i suoi compagni di viaggio) e ai suoi due bambini un viaggio ai limiti dell’umano, diventa la luce in fondo al tunnel nei loro occhi.

Crialese lancia un messaggio chiaro e diretto al suo pubblico attraverso la presa di coscienza collettiva da parte dei pescatori dell’isola, combattuti fino all’ultimo nello scegliere tra la legge italiana (che impone di non aiutare assolutamente gli immigrati naufraghi, ma solo di segnalare la loro presenza alle autorità competenti) e la legge del mare, un codice di comportamento non scritto adottato dagli isolani, che non contempla il lasciare uomini in mare. “Io cristiani a mare unn’aiu lassati mai”, dice Ernesto in un siciliano stretto ma comprensibile, per il resto a fare il film ci pensano le immagini, di quelle che levano il fiato, e le interpretazioni, con una Donatello Finocchiaro che brilla su tutti.

Voto 7

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Carolina Tocci

Giornalista freelance e blogger, un giorno le è venuta l'idea di aprire questo sito. Scrive di cinema e gossip e nel buio di una sala cinematografica si sente a casa.

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