Noi
— 4 aprile 2019Jordan Peele confeziona un horror ricco di suggestioni che valica il genere e ci costringe a guardare in faccia il nostro peggior nemico. Noi stessi.
Mette una certa angoscia il fatto che la data di uscita di Melancholia (che in termini estremamente sintetici può essere definito un film sulla fine del mondo), ossia il 21 ottobre 2011, coincida con il giorno esatto in cui, secondo l’apocalittica profezia diffusa dal reverendo Harold Camping, il mondo sarebbe dovuto finire davvero. Di fatto chi scrive lo sta facendo con un giorno di ritardo e, tra un sospiro di sollievo e l’altro per ciò che evidentemente non si è manifestato, continua a riflettere su un film terribilmente interessante che in un prologo e due atti racconta la storia di due sorelle. Una è Justine (la superba Kirsten Dunst, meritatamente premiata a Cannes come miglior interprete femminile) che non riesce a essere felice nemmeno la notte delle sue nozze. L’altra è Claire (Charlotte Gainsbourg, anche lei premiata a Cannes ma due anni fa, sempre per un film di von Trier: Antichrist), che nel cercare di prendersi cura di tutto e di tutti, vive con ansia le situazioni che la sua razionalità e il suo senso pratico non possono modificare. Come l’avvicinamento del pianeta blu Melancholia che, entrato nell’orbita terrestre, rappresenta una concreta minaccia per la Terra.
Dopo un prologo wagneriano, in cui allo spettatore viene mostrata la fine, ha inizio il film vero e proprio, con le vite delle due sorelle che confluiscono l’una nell’altra nei giorni che precedono l’epilogo. A suon di primissimi piani alternati a campi lunghi e di riprese effettuate con macchina a spalla tutte sussulti e trasalimenti, Lars von Trier ci offre l’ennesima variazione sul tema a lui caro della figura femminile autolesionista che ritrova la pace quando entra in contatto con un evento trascendentale e inevitabile. Accadeva in Le onde del destino (una storia d’amore), in Dancer in the Dark (un musical), in Dogville (un thriller) e in Antichrist (un horror). E ora accade in Melancholia, con la componente fantascientifica che segna la direzione che la vicenda è costretta a prendere. La potenza evocativa delle immagini e l’estetismo esasperato e ricercato ad ogni costo fanno venire in mente il cinema di Bergman, o quello ancora più patinato di Malick, mentre i caratteri opposti delle due sorelle vengono pian piano svelati attraverso il quotidiano. Ciò che rimane è l’effettiva inconsistenza della vita e l’impossibilità di fuggire da qualcosa che ci avviluppa e ci porta in basso, che sia la depressione in ogni sua forma o la minaccia che arriva, spettacolare e silenziosa, dallo spazio.
In ogni caso, prima di pagare il biglietto, ricordatevi che quello che state andando a vedere è un film di Lars von Trier, con tutto quello che una simile scelta può comportare: intensità drammaturgica, dialoghi intervallati da lunghi silenzi e immagini di cui si riesce a sentire anche il profumo. Un’esperienza fortemente suggestiva o tremendamente noiosa, ma senza compromessi.
Voto 8
Giornalista freelance e blogger, un giorno le è venuta l'idea di aprire questo sito. Scrive di cinema e gossip e nel buio di una sala cinematografica si sente a casa.
Tra estetica e simbolismo, la fine del mondo secondo von Trier passa attraverso gli occhi di due sorelle.
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