Noi
— 4 aprile 2019Jordan Peele confeziona un horror ricco di suggestioni che valica il genere e ci costringe a guardare in faccia il nostro peggior nemico. Noi stessi.
Dopo il fenomeno Quasi amici, un’altro film francese incentrato su un tema intramontabile come la lotta fra classi fa capolino nelle nostre sale. Presentato Fuori Concorso all’ultimo Festival Internazionale del Film di Roma, Il mio migliore incubo racconta la storia di Agathe (Isabelle Huppert), una donna glaciale dell’alta borghesia che vive con il figlio e il compagno François (André Dussollier) in una enorme casa in uno dei quartieri più chic di Parigi e dirige un’importante fondazione di arte contemporanea. Patrick (Benoît Poelvoorde) è un rude e alcolizzato ex galeotto, che vive con suo figlio in alloggi di fortuna e sbarca il lunario con lavoretti di muratura, passa il tempo portandosi a letto donne piuttosto facili, con una spiccata predilezione per quelle grassocce… Le vite di Agathe e di Patrick si incontreranno grazie (o a causa) al solido legame di amicizia che si è instaurato tra i rispettivi figli. E, naturalmente accadrà di tutto.
E’ interessante notare come ancora una volta siano i bambini a fornire un pretesto narrativo per dare la possibilità a dei personaggi adulti di scendere in campo e confrontarsi (pensate al recente Carnage di Roman Polanski). Perfettamente consapevole del fatto che non sia la trama il punto forte della storia, che non spicca in quanto a originalità, la regista Anne Fontaine (Coco avant Chanel) affida la riuscita del film puntando tutto sui suoi attori. Isabelle Huppert, meravigliosamente gelida nei panni della snobissima Agathe si contrappone a meraviglia al rozzo e volgare Patrick interpretato da Benoît Poelvoorde, ed entrambi rappresentano perfettamente la propria classe di appartenenza. Il modo smaliziato, poi, con cui i due protagonisti portano in scena i loro personaggi, nonostante quelle caratteristiche così esagerate da rasentare la macchietta, riesce a non stonare e ad amalgamarsi con il quadro del racconto. Un applauso a parte va ad André Dussollier che caratterizza il suo François in modo piacevole e affatto banale. La sceneggiatura de Il mio migliore incubo tiene e sostiene i protagonisti per i primi tre quarti del film, per sfilacciarsi un po’ nell’ultimo quarto d’ora. Ma vedere la Huppert che fa la lap dance in un club sulle note di un pezzo di David Guetta fa passare tutto in secondo piano.
Voto 7
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