Noi
— 4 aprile 2019Jordan Peele confeziona un horror ricco di suggestioni che valica il genere e ci costringe a guardare in faccia il nostro peggior nemico. Noi stessi.
“Quando mai l’America è stata corretta? Può darsi che siamo nel giusto, una volta ogni tanto, ma siamo corretti solo molto raramente”. Così recitava Chester Rush, il personaggio interpretato da Quentin Tarantino nell’episodio di Four Rooms L’uomo di Hollywood, da lui anche diretto. A distanza di diciassette anni il regista americano torna a parlare di uno dei mali peggiori della storia degli Stati Uniti: lo schiavismo. Così, dopo aver fatto saltare in aria Hitler e il suo covo di Nazisti in Bastardi senza gloria, ora nelle sue mire ci sono i negrieri sudisti, ferita profonda della storia a stelle e strisce mai rimarginata.
La storia è ambientata nel 1858 in Texas, due anni prima della Guerra civile e Django (Jamie Foxx) è uno schiavo con la schiena lacerata dai segni delle frustate e il volto sfregiato da una R, (marchio di fabbrica dei fuggitivi, i cosiddetti Runaway). Mentre viene trasportato da un mercato all’altro per essere venduto insieme ad altri derelitti come lui, si imbatte in un bizzarro ex dentista e ora cacciatore di taglie tedesco, il dottor King Schultz, (interpretato magnificamente da Christoph Waltz). Django lo aiuterà a riconoscere e uccidere i famigerati Brittle Brothers (su cui grava una taglia pesante) e Schultz in cambio lo porterà a recuperare l’amata moglie, Broomhilda (Kerry Washington), prigioniera e schiava a Candyland, la piantagione dello spietato Monsieur Calvin Candie (Leonardo DiCaprio).
Vestito di nero con un mantello sulle spalle, l’immancabile Stetson a fare ombra su quegli occhi di ghiaccio, la barba sfatta e una bara al seguito: questo era il Django originale interpretato da Franco Nero nel film diretto nel 1966 da Sergio Corbucci. Considerato il regista che più degli altri è stato capace di reinventare e rovesciare i canoni di un genere ormai codificato come il western classico, quello di John Ford o di Hawks per intenderci, Corbucci ha regalato al cinema di frontiera all’italiana nuova linfa vitale. Lo ha fatto aumentando considerevolmente i livelli di violenza (in Django il sangue scorreva a fiumi e la celebre scena del sudista costretto a mangiare il suo orecchio appena tagliato, già ripresa da Tarantino ne Le Iene, ha contribuito a farne il primo western vietato ai minori di 18 anni), inserendo protagonisti di dubbia moralità e introducendo affascinanti personaggi femminili dalla personalità tutt’altro che apatica.
Tarantino riprende il film di Corbucci relegando il suo protagonista originale in un divertente cameo, ma allo stesso tempo ne rimaneggia la struttura, arricchendola di nuove trovate, personaggi e dei suoi celebri dialoghi serrati e surreali. Ma Leone e Corbucci, padri indiscussi dello Spaghetti Western, non sono i soli ad aver spirato questo Django. Ci sono numerosi rimandi al cinema dei due Sam, Fuller e Peckinpah, ma anche a quello di De Palma e di Godard, il tutto alternato a momenti di blaxploitation e ad altri di puro gore in cui il sangue invade lo schermo. Un po’ meno citazionista del solito e molto più concentrato a dare ai suoi personaggi un’impronta caricaturale che riesca a ridicolizzare lo schiavismo e tutto ciò che ne deriva (la scena del Ku Klux Klan è imbattibile in questo senso), Tarantino ci regala un Pulp Western senza uguali, con la sola pecca di dilungarsi troppo nella parte centrale. L’istrionismo di Christoph Waltz è al suo servizio, così come l’abilità di giocare con la voce di Samuel L. Jackson, quasi irriconoscibile nei panni del maggiordomo tanto razzista quanto il suo padrone pallido, Monsieur Candie.
Una storia di amicizia, amore, schiavitù, razzismo ed emancipazione con le immense piantagioni di cotone del Sud sullo sfondo, scandita da una colonna sonora tratta per lo più da vecchi spaghetti western, e vista attraverso lo sguardo ironico, grottesco ed estremo di Mr. Tarantino, fautore della riscoperta di (sotto)generi e fondatore del Pulp Western. Si esce dal cinema divertiti e tramortiti dopo quasi tre ore e un finale pirotecnico in pieno Inglorious Basterds Style. Ma felici che ogni tanto arrivi Tarantino a ricordarci come dovrebbe essere fatto un film.
Voto 8
Giornalista freelance e blogger, un giorno le è venuta l'idea di aprire questo sito. Scrive di cinema e gossip e nel buio di una sala cinematografica si sente a casa.
Tarantino rende omaggio allo spaghetti western e firma un revenge movie in piena regola con sangue, sparatorie e dialoghi funambolici.
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