Noi
— 4 aprile 2019Jordan Peele confeziona un horror ricco di suggestioni che valica il genere e ci costringe a guardare in faccia il nostro peggior nemico. Noi stessi.
Ancora pochi giorni e poi la collisione di un asteroide con la terra causerà la fine del mondo.
Non il più classico degli incipit per un film che abbia (anche) la pretesa di divertire.
Laddove infatti la mitopoiesi hollywoodiana focalizzerebbe il suo sguardo su attori sociali connotati in senso eroico (astronauti, presidenti o comunque qualcuno che provi a salvare il mondo) l’occhio di Lorene Scafaria, già sceneggiatrice del pregevole Nick & Norah: Tutto accadde in una notte e qui al suo debutto dietro la macchina da presa, decide di soffermarsi su una storia intima che ha per protagonisti un ipotetico signor nessuno, Dodge Petersen, comune travet di una compagnia di assicurazioni abbandonato da una moglie fedifraga e in preda al panico e la sua vicina di casa Penny, stralunata e romantica, che intrecciano le proprie solitudini per intraprendere quello che si preannuncia per entrambi come l’ultimo viaggio.
Se in un passato anche piuttosto recente la prassi era quella di declinare qualsiasi tipo di istanza apocalittica in chiave di blockbuster, negli ultimi anni stiamo assistendo a un’inversione di tendenza che vede sempre più “autori” misurarsi col tema della fine del mondo.
Solo lo scorso anno sia Abel Ferrara (4:44: Last Day on Earth) che Lars Von Trier (Melancholia) hanno avuto a che fare con tematiche affini.
Non è un caso che qui si citi Melancholia, perchè in più punti Cercasi amore per la fine del mondo sembra rappresentarne in qualche modo una versione indie e soprattutto più riuscita.
Da un lato Von Trier e il plumbeo catastrofismo con cui attanagliava i suoi personaggi per tutta la durata del film, dall’altro Lorene Scafaria, che riesce a lavorare di leggerezza attorno al più nefasto degli eventi possibili fino a tirarne fuori una commedia romantica.
E lo fa con tutti i crismi.
Nel pieno rispetto delle regole-chiave del genere, solo giustapponendole a un contesto pre-apocalittico, in un improbabile ibrido tra Susanna di Howard Hawks, Tutto in una notte di Landis e Armageddon.
Quello che sulla carta potrebbe sembrare un giochino un po’ gratuito a uso e consumo di cinefili amanti del crossover tra generi – oltre che un disastro se messo in mano a uno sceneggiatore meno dotato – su pellicola si rivela essere un gioiello garbato e romantico.
L’incontro/scontro tra i due mondi diametralmente opposti di Dodge e Penny, sebbene motore scatenante di situazioni spesso divertenti (nel film si ride insomma), viene mostrato con estrema delicatezza e pudore.
Merito soprattutto dei due attori protagonisti, Steve Carell, che già altrove ha dimostrato (Crazy, Stupid, Love e Il mondo secondo Dan soprattutto) di essere in grado di veicolare, come forse solo Bill Murray, sentimenti quali malinconia, spaesamento e tenerezza con un solo sguardo e una Keira Knightley adorabile e finalmente libera dei vestiti d’epoca indossati nel 90% dei film che compongono la sua filmografia.
Un piccolo capolavoro con uno dei finali più dolci mai visti dai tempi di Lost in Translation.
Voto 7
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