Noi
— 4 aprile 2019Jordan Peele confeziona un horror ricco di suggestioni che valica il genere e ci costringe a guardare in faccia il nostro peggior nemico. Noi stessi.
Federico (Nicolas Vaporidis) è un giovane disoccupato pugliese. Riccardo (Andrea Bosca) è un giovane aspirante stilista, anche lui pugliese, ma emigrato a Milano dalla fidanzata Lucia (Claudia Potenza) per seguire il suo sogno: aprire un atelier. Entrambi sono legati da un profondo rapporto di amiciziache li unisce sin dall’infanzia e hanno poche aspettative per il futuro: Federico si guadagna da vivere con lavori umili ed elemosinando denaro per mantenere suo fratello Lorenzo mentre Riccardo fa il commesso per una famosa azienda. Quando la regione Puglia stanzia dei fondi per avviare nuove attività imprenditoriali per favorire i giovani, Federico chiede a Riccardo di tornare nella terra natia e sottoporsi all’ispezione della commissione di cui fa parte Roberto (Massimo Ghini), direttore del quotidiano “Puglia Oggi” e omosessuale non dichiarato. I due scopriranno, loro malgrado, che quei fondi sono destinati alle sole coppie di fatto: per ottenere il denaro e aprire così l’atelier di moda tanto sognato, si vedranno costretti a fingere di essere una coppia omosessuale, con rocambolesche conseguenze.
Reduce dal successo di Young Europe, vincitore del premio per la miglior regia al Milano International Film Festival del 2012, il regista (nonché fotografo di professione) Matteo Vicino tenta stavolta la strada del commerciale con una pellicola di cui è anche sceneggiatore e montatore. Outing – Fidanzati per sbaglio è la classica commedia degli equivoci, una storia che parte con le più nobili intenzioni ma che presenta, purtroppo, notevoli limiti. Discutibili molte scelte registiche e fotografiche, a cominciare dall’inserimento di pezzi musicali eccessivamente invadenti e luci troppo realistiche, molto naïf, che invece di donare un’aria d’ingenuità e leggerezza alla vicenda, finiscono per declassare il film da pellicola discreta a videoclip di second’ordine.
C’è molta ingenuità anche nella sceneggiatura, che risulta a tratti poco fluida e stanchevole, contaminata anche da numerosi (e prevedibili) cliché, come quello del gay di buon gusto che frequenta locali e gente alla moda, o che, ancora peggio, ama truccarsi e travestirsi. Anche i dialoghi lasciano il tempo che trovano, e su questo fronte il cast non aiuta; con un Vaporidis che non riesce a liberarsi di uno stile di recitazione che non regala mai nulla di nuovo e con un solo personaggio che riesce a concentrare su di sé il grosso dell’attenzione, quello interpretato da Massimo Ghini: che alla fine sia lui il vero protagonista del film? Nota positiva: l’onestà propositiva della trama, che vuole essere una critica al sistema italiano, accusato di non preoccuparsi abbastanza del futuro delle nuove generazioni, costringendole spesso a espatriare o a cercare raccomandazioni presso i potenti di turno, colpevoli di spingere anche il più onesto dei ragazzi a scendere a scomodi compromessi. La critica si estende, ovviamente, anche alla mancanza di un’adeguata legislazione che tuteli le coppie di fatto, ma invece di far evolvere la commedia in una storia dai contenuti costruttivi, tutto si tramuta in un appello dalla forza labile, eccessivamente ingenuo e piuttosto incerto, che dondola da un estremo all’altro, dall’ironia eccessiva alla critica impegnata ed esasperata. Chiude questo confuso pastiche una romantica e allegra tavolata alla Ozpetek, un finale che sa più di schizofrenia che di omaggio citazionistico.
Voto 5
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