Noi
— 4 aprile 2019Jordan Peele confeziona un horror ricco di suggestioni che valica il genere e ci costringe a guardare in faccia il nostro peggior nemico. Noi stessi.
I film di Rob Zombie, il rocker heavy-metal divenuto regista, si sa, non sono per tutti i palati. Da La Casa dei 1000 corpi fino all’omaggio carpenteriano Halloween – The Beginning, Zombie ha sempre fatto “il suo cinema”, senza compromessi e soprattutto senza dover per forza compiacere un pubblico mainstream. E Le streghe di Salem non intacca affatto questo trend. Girato in modo piuttosto semplice ma caratterizzato da scelte registiche radicali e dissennate, l’ultimo lavori di Zombie strizza l’occhio al Rosemary’s Baby di Polanski ma anche ad alcuni tasselli dell’universo argentiano (Suspiria in primis), pellicole in cui erano l’invenzione visiva, le suggestioni e la capacità di creare suspense da parte del regista a riempire l’inquadratura.
Protagonista della pellicola è la moglie del regista, Sheri Moon Zombie (un’abituè nei suoi film) che veste i panni della DJ Heidi. La donna lavora per un’emittente radio a Salem, in Massachussets (la cittadina americana nota per il processo alle streghe che si tenne nel 1692), e insieme ai suoi colleghi Whitey e Munster Herman forma i “Big H Radio”. Un giorno le viene recapitato un misterioso disco in vinile, spedito dai “Lord”. Heidi pensa si tratti di una nuova rock band in cerca di visibilità, ma mentre lo ascolta con Whitey, il brano inizia a suonare al contrario e Heidi ricorda, attraverso dei flashback, un trauma passato. In seguito, Whitey suona il disco dei Lord, battezzandoli The Lords of Salem, e con sua grande sorpresa il disco suona normalmente ed ottiene un enorme successo presso gli ascoltatori dell’emittente. Arriva un’altra scatola di legno per i Big H da parte dei Lords, con biglietti gratis, poster e dischi, per organizzare un concerto a Salem. Ben presto Heidi e i suoi colleghi scopriranno che il concerto non è lo spettacolo che si aspettavano: i veri Signori di Salem stanno tornando, e non sono una rock band…
Rispetto ai livelli splatter a cui Zombie ci ha abituati, Le streghe di Salem si può quasi definire un film contenuto. Certo anche qui non mancano scene forti (qualcuna anche piuttosto ripugnante) e con un elevato tasso di blasfemia, ma guardando la pellicola si ha la sensazione che più che il pulp, questa volta Zombie abbia prediletto uno strano miscuglio tra kitsch e pop. Tramutando l’elemento storico (l’infausto processo che nel XVII secolo diede il la ad una lunga serie di persecuzioni, accuse ed esecuzioni capitali per il presunto reato di stregoneria in tutto il nordamerica) in scintilla narrativa da cui la storia ha inizio, Zombie però non sfrutta appieno le possibilità offerte da un materiale potenzialmente esplosivo e finisce per farne l’ennesima finestra sul suo mondo distorto, immaginifico e allucinato che tanto piacerà ai suoi fan. Quello che maggiormente colpisce de Le streghe di Salem, poi, è la presenza di tantissime vecchie glorie dei B-Movie americani a cui il regista rende un chiaro omaggio: si va da Dee Wallace (protagonista de L’ululato) a Patricia Quinn (la Magenta in The Rocky Horror Picture Show), passando per Meg Foster (Essi Vivono) nel ruolo della strega Margaret Morgan. E poi ancora il Ken Foree di Zombi e la Maria Conchita Alonso de L’implacabile.
Pellicola di genere come poche, Le streghe di Salem incontrerà di sicuro il gusto dei zombiani più incalliti, e probabilmente di pochi altri. Ma questo forse è proprio l’aspetto più intrigante di un film cinefilo, citazionista e sicuramente coraggioso.
Voto 6
Giornalista freelance e blogger, un giorno le è venuta l'idea di aprire questo sito. Scrive di cinema e gossip e nel buio di una sala cinematografica si sente a casa.
Tremate, tremate, le streghe son tornate! La filmografia di Rob Zombie si arricchisce di un nuovo, allucinato tassello.
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