MIA Market 2019: la quinta edizione sarà dal 16 al 20 ottobre
— 2 giugno 2019Torna l’appuntamento per i leader dell’industria audiovisiva.
QUI trovate la nostra recensione del film
Dopo le polemiche seguite alla Palma d’oro a Cannes, con le attrici principali Léa Seydoux e Adèle Exarchopoulos quasi sul punto di disconoscere il film a causa quello che lamentavano come un uso scorretto, da parte del regista, delle (numerose) scene di sesso contenute nel film, La vita di Adele sbarca finalmente in Italia, giovedì 24 ottobre in 150 sale. E tutto sembra essere tornato alla normalità.
La pellicola sta riscuotendo grande successo in Francia, dove ha debuttato i primi di ottobre, e l’autore Abdellatif Kechiche (Cous Cous, Venere nera) e la sua giovane – ma già superba – musa Adèle Exarchopoulos sembrano aver ritrovato l’intesa in vista della promozionedel film.
Li abbiamo incontrati questa mattina a Roma, con loro c’era anche il giovane protagonista Jérémie Laheurte, in una sala estasiata dalla visione di un’opera tanto lunga (tre ore la durata effettiva) quanto emotivamente intensa e visivamente appagante.
Per certi versi La vita di Adele potrebbe essere considerato un sequel del suo Venere nera. In quel film mancavano l’amore e il cuore che invece permeano il suo ultimo lavoro in maniera massiva. E’ corretta questa interpretazione?
E’ un’interpretazione sostanzialmente corretta. La vita di Adele è, a tutti gli effetti, una storia d’amore, attraverso la quale ho avuto l’opportunità di sviluppare temi diversi come l’importanza del caso e del destino nelle dinamiche di relazione. Si pensi ad esempio al primo incontro tra Adele ed Emma (le due protagoniste): avviene per puro caso ad un semaforo, soltanto perché Adele, in ritardo, non è riuscita a prendere l’autobus. Mi interessava inoltre parlare dell’incontro/scontro tra diverse classi sociali, nello specifico quello tra il proletariato e la borghesia intellettuale e di come l’amore riesca a resistere a queste differenze.
Il suo cinema è uno di quei rari esempi in cui l’opera imita la vita in maniera davvero straordinaria e questo film rappresenta forse il punto più alto di questa tendenza. Crede che sia possibile superare questo livello?
Io credo che il cinema ti permetta sempre di andare oltre la vita. Proprio per questo nei casting faccio sempre molta attenzione che gli attori scelti siano disponibili a darsi in maniera totale. L’aspetto che lei sottolinea dei miei film è merito soprattutto degli attori. Per questo film devo ringraziare in maniera particolare Adèle Exarchopoulos per la sua splendida interpretazione. Ha lavorato così duramente sul personaggio che per me è stato naturale, a un certo punto, cambiare il titolo inserendovi il suo vero nome.
Una domanda per Adèle Exarchopoulos. Come è stato lavorare con Kechiche? Cosa le ha chiesto e cosa pensa di aver portato in dote al progetto?
E’ difficile riassumere in poche parole la complessità di un lavoro come quello svolto su questo film da tutto il team, dal regista al cast tecnico.
Quello che mi ha dato più soddisfazione come interprete è stato il notevole spazio che Kechiche ha concesso alla libertà e alla creatività di noi attori. Quando questo accade è sintomo di estrema fiducia tra le parti.
L’impressione è che La vita di Adele stia vivendo diverse vite. Dal trionfo a Cannes alle polemiche immediatamente successive e ora il trionfo in patria e i rumours che parlano di eventuali nomination all’Oscar nelle categorie principali (incluso quello per la migliore attrice protagonista). Come sta vivendo l’autore questi diversi stadi della vita del film?
Sono i temi stessi toccati nel film, e il modo in cui sono affrontati soprattutto, a rendere La vita di Adele suscettibile di avere reazioni viscerali. Il film ha cominciato a vivere le sue diverse vite già mentre lo stavamo girando, è qualcosa di cui ci rendevamo perfettamente conto.
Lei non ha mai avuto un rapporto facilissimo coi festival. A Venezia, ad esempio, l’impressione fu che la Palma d’oro per Cous Cous le venisse un po’ scippata. Quali sono state le sue reazioni quando ha saputo che a prediedere la giuria di Cannes sarebbe stato Steven Spielberg, autore apparentemente lontano dal suo modo di fare cinema? Temeva di essere penalizzato?
Spielberg è innanzitutto un grande autore e io non ho mai considerato la sua idea di cinema così distante dalla mia. Pensate ad esempio a un film come Il colore viola e alla sua caratterizzazione di un personaggio femminile così lontano dagli standard hollywoodiani.
Per altri versi Emma, la protagonista del mio film, essendo un’eroina piuttosto classica alle prese con una serie di difficoltà, potrebbe tranquillamente essere considerata come la mia Indiana Jones.
Detto ciò, è chiaro che ricevere la Palma d’oro da un regista del livello di Spielberg mi ha regalato una particolare soddisfazione.
Da sempre convinto che, durante la proiezione di un film, nulla di brutto possa accadere, ha un passato da sceneggiatore, copywriter e altre prescindibili attività. A parte vedere film fa ben poco.
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