Siamo al terzo giorno di Festival, una domenica in cui, complice il maltempo, sale e corridoi dell’ Auditorium si sono letteralmente riempiti di persone di ogni età. Noi iniziamo il nostro resoconto con il film che abbiamo visto ieri sera, Entre nós, In Concorso.
Una natura selvaggia di una bellezza disarmante (l’avevamo già ammirata, come sfondo narrativo costante delle turbolenze emotive di un’intensa Jasmine Trinca nello splendido Un giorno devi andare del nostro Giorgio Diritti) ed una casa che qualsiasi europeo sognerebbe di possedere fanno da cornice, per esterni ed interni, a questo “Grande freddo” brasiliano in La minore, i cui protagonisti (tutti straordinariamente belli nel loro incarnare il mediceo “Quant’è bella giovinezza. che si fugge tuttavia!”) si confrontano con i se stessi del decennio successivo, tirando le somme di un bilancio dolorosamente negativo. Paulo e Pedro Morelli firmano un sincero ritratto esistenziale, magari non troppo approfondito od originale ma farcito, comunque, da aforismi decisamente interessanti e bilanciato al punto giusto, quindi sicuramente godibile. Entre nós non possiede ancora una distribuzione italiana. Auspichiamo, quindi, che possa uscire prossimamente nelle nostre sale.
Questa mattina invece abbiamo visto il film che vincerà questa ottava edizione del Festival di Roma. Sì perché se è vero che mancano ancora diversi giorni alla conclusione della kermesse, è altrettanto vero che si fa fatica anche solo a immaginare che riusciremo a vedere qualcosa di più completo e perfetto dello splendido Her di Spike Jonze. Atteso, anzi attesissimo quarto film dell’autore di Essere John Malkovich, Il ladro di orchidee e de Il regno delle creature selvagge, Jonze ha portato In Concorso (ci dispiace per gli altri partecipanti…) la storia di un uomo che si innamora di un sistema operativo avanzato. L’uomo, Theodore, è un Joaquin Phoenix mai visto a dei simili livelli di bravura, mentre la macchina si emoziona, parla, ride e piange con la voce di Scarlett Johansson. Di contorno altre due figure femminili azzecatissime, la ex moglie di Theodore Rooney Mara e la sua amica del cuore, Amy Adams. Il tema tecnologico in Her è solo una facciata, un escamotage per parlare di questioni che più umane non si potrebbe, di uomini e di donne, principalmente, ma anche della solitudine e dell’alienazione sociale. Una pellicola faticosissima da immaginare, scrivere e realizzare (tutta farina del sacco di Spike Jonze, che Her l’ha anche scritto) che però meglio non poteva venire fuori. Solo uno come lui poteva riuscire a creare un personaggio tanto assente quanto reale e rendere assolutamente credibile un amore tra un uomo e un’intelligenza artificiale, proprio come come se si trattasse di due persone vere, fatte di carne e di ossa. Un amore grandissimo, maturo, concreto e impossibile. Pellicola ironica, profonda, struggente e mai banale, Her è una riflessione nitida e acuta sui rapporti sentimentali nella società attuale, una valanga di dense emozioni di cui solo i grandi film sono fatti.
A rendere questa giornata ancora più intensa, poi, ci hanno pensato i protagonisti del film, Joaquin Phoenix e Rooney Mara, e il regista Spike Jonze, che hanno presenziato a una conferenza stampa vivace e poco convenzionale. Gran parte del merito va al mattatore Joaquin Phoenix, conosciuto per il suo carattere piuttosto schivo nei confronti di tutte quegli eventi che impone lo showbiz. Ma oggi evidentemente era in forma, anche se visibilmente agitato, e non si è sottratto alle curiosità dei giornalisti, neanche quando gli hanno chiesto come si fosse preparato a interpretare un uomo comune, lui che ha sempre dato vita a personaggi piuttosto estremi. Ecco la sua risposta.
“In realtà non mi sono preparato. Credo che il mio lavoro sia un’evoluzione costante, ma sul set sono confuso. Soffro e cerco sempre di trovare la direzione giusta per il personaggio. Mi piacerebbe avere una ricetta fissa, ma non è così. Dipende dal regista, dal ruolo; il lavoro cambia sempre. Ha un senso quello che sto dicendo? Ok, credo di aver risposto alla domanda”.
Pochi minuti appena per superare lo shock emotivo causato dal capolavoro di Spike Jonze e siamo di nuovo in sala per il divertente Song’e Napule dei Manetti Bros.
Autoironico omaggio al poliziottesco – genere amato da sempre dai due autori romani – Song’e Napule è la storia di Paco, timido e raffinato pianista diplomato al conservatorio, che accetta malvolentieri un lavoro in Polizia dietro raccomandazione. La sua indole vile lo relega a un lavoro di archivio ma avrà la sua occasione di riscatto quando l’Ispettore Cammarota (Paolo Sassanelli) lo infiltra al un matrimonio di una famiglia di camorristi in qualità di tastierista del cantante neomelodico (un esilarante Giampiero Morelli) invitato ad intrattenere gli invitati.
Sorta di Ispettore Coliandro in salsa napoletana, il film dei Manetti sfrutta piuttosto bene le potenzialità della location partenopea e strappa ben più di una risata senza mai perdere di vista un plot che è, a tutti gli effetti, poliziesco nella maniera più classica. Piacevole.
Grazie a Eugenio Boiano e Massimo Frezza
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