Noi
— 4 aprile 2019Jordan Peele confeziona un horror ricco di suggestioni che valica il genere e ci costringe a guardare in faccia il nostro peggior nemico. Noi stessi.
La notte del 31 dicembre è senza dubbio una delle più malinconiche dell’anno. E’ la notte in cui si è obbligati a sorridere e a far festa, ad accantonare i problemi: giusto il tempo di un brindisi prima di tornare al quotidiano. Quale giorno migliore, allora, per farla finita? Devono aver pensato questo Martin, Maureen, Jess e JJ (fate caso alle iniziali dei loro nomi) quando sono saliti all’ultimo piano di quel vecchio palazzo a Londra, non per niente chiamato la “Casa dei Suicidi”.
Martin Sharp (Pierce Brosnan) è un ex conduttore televisivo la cui vita è progressivamente andata in frantumi dopo aver avuto una relazione con una ragazza minorenne, che pensava avesse venticinque anni. Il suo comportamento gli ha fatto perdere il lavoro, ed è stata la ragione che ha spinto la moglie a divorziare e a chiedere la custodia delle figlie. La notte di Capodanno Martin decide quindi di suicidarsi gettandosi dal tetto della Topper’s Tower. Il suo piano verrà però interrotto dall’arrivo di Maureen (Toni Collette), della giovane e scapestrata Jess (Imogen Poots), e da un ragazzo di nome JJ (Aaron Paul). Ognuno di loro è salito in cima all’edificio con lo stesso progetto: farla finita. Ma la situazione inaspettata li costringe a cambiare idea e rimandare l’appuntamento con la morte. I quattro si ritrovano quindi a vivere una serata intensa, fino al sopraggiungere dell’alba. Al sorgere del sole stringono un patto, promettendosi che sarebbero rimasti vivi fino al giorno di S. Valentino.
Questi quattro personaggi (che non sono in cerca d’autore, perché ce l’hanno eccome e risponde al nome di Nick Hornby, uno dei pilastri della letteratura inglese contemporanea) si muovono all’interno di una storia paradossale, ambientata in una Londra piovosa e alienante, che tuttavia riesce comunque a mantenere una certa verosimiglianza, nonostante in alcuni momenti rasenti l’assurdo. Certo nel passare dagli scaffali al grande schermo alla vicenda sono stati smussati un pochino gli angoli, ma Hornby è ben presente nel film, nonostante non abbia partecipato alla stesura della sceneggiatura. Quei dialoghi ironici e pungenti, messi in bocca a personaggi che hanno il raro pregio di “parlare come mangiano”, rappresentano la freschezza di Non buttiamoci giù, così come i suoi protagonisti arciumani e spaesati, teneramente in cerca di attenzioni. E anche se nella trasformazione, le pagine della black comedy dell’autore inglese sono diventate una commedia piuttosto colorata e con delle svolte un po’ troppo buoniste, Pascal Chaumeil è riuscito nella non facile impresa di mantenere un buon livello di profondità anche nella leggerezza.
Attori in parte e ben amalgamati (Brosnan ha ritirato fuori per l’occasione la sua faccia migliore, quella da Remington Steele, con sarcasmo e autoironia da vendere,) con la punta di diamante rappresentata dalle due interpreti femminili. Che Toni Collette fosse strepitosa, lo sapevamo già. Per la seconda volta in una trasposizione di un romanzo di Hornby, dopo About a Boy, l’attrice australiana ci regala l’ennesimo personaggio riuscito della sua carriera. La sorpresa invece è arrivata dalla giovane Imogen Poots (28 settimane dopo, Need for Speed), alle prese con il ruolo non facile di Jess, la svitata del gruppo, nel quale riesce a dosare perfettamente vulnerabilità e amara ironia. E poi c’è Aaron Paul, qui piuttosto lontano dal ruolo dello spacciatore di metanfetamine che interpreta in Breaking Bad.
Al netto di un po’ di retorica, Non buttiamoci giù rimane un film godibile e ben costruito, che indaga nelle ferite dei suoi protagonisti, seguendoli nelle singole evoluzioni personali e tirandone fuori pregi, difetti e motivazioni che li hanno condotti in cima a un palazzo nella notte di capodanno.
Voto 6
Giornalista freelance e blogger, un giorno le è venuta l'idea di aprire questo sito. Scrive di cinema e gossip e nel buio di una sala cinematografica si sente a casa.
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