Rompicapo a New York

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La vita di Xavier Russeau (Romain Duris) al momento attraversa una fase piuttosto complicata.
Scrittore in crisi, Xavier vive la fine della sua storia con Wendy (Kelly Reilly) proprio in concomitanza col delicato passaggio anagrafico tra i trenta e i quarant’anni, che un tempo connotava un’altra importante crisi, quella di mezza età.
Oggi però i quarant’anni sono tutta un’altra storia e, a quell’età, si fa ancora in tempo a resettare tutto e a reinventarsi una vita altrove, magari trasferendosi da Parigi a New York per stare insieme ai propri figli e cercare l’ispirazione per un romanzo che, un po’ come la vita, è soltanto una pagina bianca sullo schermo di un portatile.
Questo se non altro in teoria, perché il più delle volte, allo spostamento fisico, non sempre corrisponde un miglioramento generale. Almeno non da subito.
E per Xavier l’inizio della sua avventura a New York, tra un lavoro precario e le difficoltà burocratiche per ottenere il visto di soggiorno, non ha nulla a che vedere con l’american dream.
Come se tutto ciò non fosse già abbastanza, ci si mette di mezzo anche un ritorno di fiamma col primo amore Martine (Audrey Tautou) e il ritrovato rapporto con la sua migliore amica Isabelle, anche lei di stanza a New York.



Terzo e, presumibilmente, ultimo atto della trilogia iniziata da Cédric Klapisch nel 2002 con L’appartamento spagnolo e proseguita tre anni dopo con Bambole russe, Rompicapo a New York riesce nell’intento di infondere la stessa leggerezza che accompagnava i suoi protagonisti nella transizione tra la spensieratezza della “generazione Erasmus” e la vita adulta dei primi due film, anche ad uno stadio esistenziale foriero di maggiori amarezze.
Si parla infatti di fallimenti e sogni infranti e, più in generale, della mesta presa di coscienza di chi realizza che, forse, non tutto è andato esattamente per il verso giusto.
Laddove però, in qualsiasi altra opera dalle pretese generazionali, ci si concentrerebbe maggiormente sulle riflessioni a posteriori riguardo ai possibili errori del passato (il “where did it all go wrong?” tipico di molte commedie americane) qui lo sguardo è proiettato su un futuro prossimo e su un’idea di “altrove”, sia geografico che esistenziale, da smontare dall’interno per mostrare come anche le distanze spaziali contino in realtà ben poco di fronte al calore degli affetti.
Xavier infatti ritrova a New York le tre “ragazze” con cui aveva condiviso l’incoscienza dei suoi vent’anni e, una volta preso atto di come queste siano diventate donne, anche se ognuna a suo modo, si ritrova a fare i conti con la propria irrisolutezza.

Fiaccato solo in parte da una durata eccessiva e – ahinoi – da un doppiaggio ridicolo che non tiene in minima considerazione quanto le differenze (e le conseguenti difficoltà) linguistiche mostrate nel film siano parte integrante dello spaesamento rappresentato, Rompicapo a New York risulta alla fine una solida quadratura del cerchio.
Piace, in particolare, la capacità di Klapisch di mantenersi sempre in bilico tra i diversi generi toccati – che sia dramma, commedia o romance – senza mai sceglierne uno in particolare, con il risultato di avvicinarsi quanto più possibile a qualcosa che assomigli alla vita reale, in maniera non dissimile da quanto fatto da Richard Linkater con la sua saga composta da Prima dell’alba, Prima del tramonto e Before Midnight e, almeno in teoria, dal Muccino del dittico L’ultimo bacio/Baciami ancora.
Convince inoltre questa New York, di fatto coprotagonista del film, che, filtrata attraverso l’occhio “estraneo” dell’autore, appare sì multiculturale e ricca di possibilità, ma anche profondamente divisa in due, con Manhattan e i suoi grandi loft dai prezzi proibitivi da un lato e l’appartamento infinitesimale nel bel mezzo di Chinatown, in cui Xavier consuma il primo atto della propria rinascita, dall’altro.
Un film innocuo e leggerino solo all’apparenza quindi, capace di bisbigliare qualcosa di utile (o in ogni caso di dolce) a chiunque sia alla ricerca di una collocazione.
Sia geografica che esistenziale.

Voto 7

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Fabio Giusti

Da sempre convinto che, durante la proiezione di un film, nulla di brutto possa accadere, ha un passato da sceneggiatore, copywriter e altre prescindibili attività. A parte vedere film fa ben poco.

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