Noi
— 4 aprile 2019Jordan Peele confeziona un horror ricco di suggestioni che valica il genere e ci costringe a guardare in faccia il nostro peggior nemico. Noi stessi.
Un uomo riceve in eredità dal padre scrittore alcune orribili confessioni, un ragazzo chatta su internet con l’amico appena morto suicida, un bambino muto subisce le angherie degli abitanti del paesino in cui vive, una vedova che si finge medium per tirare a campare deve fare i conti con le ire degli spiriti evocati e tre ragazze in vacanza finiscono in un albergo in cui forse è meglio non pernottare.
Queste, in estrema sintesi, le cinque storie raccontate in questo piccolo film collettivo, realizzato in assoluta indipendenza (con il sostegno dell’Università di Tor Vergata, che ha fornito i mezzi tecnici necessari alla postproduzione) da un manipolo di giovani, alcuni giovanissimi, registi evidentemente desiderosi di mettere mano al ricchissimo repertorio di genere del nostro passato remoto per rielaborarlo in chiave moderna.
Già il semplice fatto che un progetto di questo tipo non solo venga realizzato, ma trovi anche la via delle sale, seppure nel periodo estivo, è cosa suscettibile di far ben sperare per le sorti del cinema di genere.
Una volta lodate le intenzioni, tocca però fare i conti coi risultati e, nel caso di Paranormal Stories, proprio non ci siamo.
Ciò che si registra infatti, anche a fronte di alcune scelte di regia degne di nota, è una totale povertà di scrittura che mina il film sin dalle fondamenta.
Se la povertà dei mezzi può portare lo spettatore a soprassedere sulla rozzezza di alcune soluzioni visive (soprattutto per quanto riguarda il versante splatter) e sul livello a tratti amatoriale della recitazione, non è possibile ignorare quanto poco si sia osato a livello di sceneggiatura.
La creatività infatti è per lo più gratis ed è arduo pensare che delle giovani menti, presumibilmente appassionate di horror, non siano state in grado di elaborare nulla di più perturbante di queste cinque elementari – e, diciamolo, anche un po’ banalotte – microstorie.
Sia ben chiaro, ad un film horror non si è soliti chiedere nulla in termini di spessore dei personaggi né di introspezione psicologica – anzi, spesso la totale assenza di entrambi gli elementi è addirittura preferibile – quanto semplicemente la possibilità che sullo schermo non accada esattamente ciò che ci si aspetti che accada.
E proprio nella sua prevedibilità risiede la principale pecca del film.
Non c’è ombra di cattiveria né alcuna forma di sottile sadismo verso il pubblico nei cinque cortometraggi che compongono il film (più il prologo e l’epilogo che vanno a comporre un ulteriore segmento narrativo) e dispiace perché, senza allontanarsi troppo geograficamente (V/H/S e l’ottimo The Signal, entrambi scritti e diretti a più mani) negli ultimi anni, in Italia qualcosa di buono si è pur prodotto: basti pensare a Shadow di Zampaglione (quest’ultimo purtroppo ha contribuito a guastarne il ricordo girando in seguito anche l’orrido Tulpa) o a Paura dei mai troppo lodati Manetti Bros. e a come, insieme agli ottimi At The End of The Day e La Santa (quest’ultimo davvero notevole) di Cosimo Alemà, avevano fatto sperare che il sottobosco di genere italiano stesse finalmente riuscendo a smarcarsi dalle pastoie citazioniste del continuo rifarsi ai Maestri (sostanzialmente Argento e Fulci) per produrre qualcosa di originale.
Ecco, se dovessimo considerare Paranormal Stories come un ideale partecipante allo stesso campionato dei film citati poc’anzi, non potremmo fare a meno di considerarlo come la battuta di arresto di un trend positivo.
Qualora invece lo si voglia interpretare come una sorta di saggio propedeutico ad altro, possiamo permetterci una maggiore morbidezza e sperare che – una volta trovato uno stile e, soprattutto, una storia – ognuno di questi sei giovani autori abbia modo di poter dimostrare altrove il proprio valore.
Voto 4
Da sempre convinto che, durante la proiezione di un film, nulla di brutto possa accadere, ha un passato da sceneggiatore, copywriter e altre prescindibili attività. A parte vedere film fa ben poco.
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