Noi
— 4 aprile 2019Jordan Peele confeziona un horror ricco di suggestioni che valica il genere e ci costringe a guardare in faccia il nostro peggior nemico. Noi stessi.
Il Riot Club, fondato nel lontano 1776, è il circolo studentesco più esclusivo e snob dell’intera Università di Oxford.
Ne fanno parte i dieci ragazzi più dotati dell’ateneo, quelli destinati a un futuro di privilegi e potere.
Sono rampolli viziati appartenenti a famiglie in vista, abituati a ottenere tutto e subito senza il minimo sforzo.
Miles (Max Irons, figlio di Jeremy) e Alistair (Sam Claflin) sono solo gli ultimi tra i prescelti a far parte del Riot Club.
Solo che Miles, nonostante l’alto lignaggio, cerca di mantenere i piedi per terra senza fare eccessivo sfoggio delle proprie origini mentre Alistar, che vive all’ombra di un fratello maggiore ex-presidente del club, crede fermamente in una forma di superiorità delle classi più agiate su quelle meno abbienti.
La cinica goliardia che in genere anima le serate del Riot Club una sera però supera il punto di non ritorno e i ragazzi si trovano a dover fare i conti con le responsabilità di un’azione che nemmeno tutte le loro conoscenze possono mettere a tacere.
Per comprendere appieno il valore di quanto sia riuscito questo spietato apologo sociale firmato da Lone Scherfig (An Education, One Day) bisognerebbe cominciare dall’analizzare l’inquietante scena grondante quieta rassegnazione dinanzi all’ineluttabilità del male che lo chiude, quasi una sorta di ideale omologo britannico dell’amaro finale di Mystic River di Clint Eastwood.
Senza dir nulla che possa rovinare il piacere della visione, è proprio alla fine che si prende atto di come l’autrice danese sia stata abile nel costruire, complice la pièce teatrale di Laura Wade da cui il film è tratto, un ritratto analitico e impietoso di certe dinamiche che, nella fattispecie, riguardano l’ambiente del college ma sono riscontrabili in qualsiasi altro contesto sociale.
Lo fa procedendo per accumulo, attraverso un’abile sovrapposizione di strati di tensione sottile e montante, convincendo nel contempo lo spettatore di trovarsi di fronte a un thriller, per poi disilluderlo negandogli anche la possibilità di empatizzare con Miles, l’unico personaggio identificabile come buono almeno per buona parte del film.
Questa scelta, lungi dall’essere un atto di nichilismo drammaturgico fine a se stesso, è invece utile anche per allontanare dallo script qualunque ombra di facili e stereotipate contrapposizioni “upper class VS borghesia” che appesantirebbero di retorica un prodotto di questo genere.
Ecco quindi che, quand’anche l’idea di un ipotetico eroe viene a cadere, ciò che resta è il nulla. Il vuoto pneumatico dei sentimenti.
Lo stile di regia è giustamente anòdino – indicativo di un distacco con cui la Scherfig approccia i suoi personaggi sin dai tempi di An Education – così come gli ambienti in cui si muovono questi odiosi figli di papà, così freddi nella loro antica eleganza che testimonia in modo incontrovertibile la persistenza secolare dell’ingiustizia sociale.
Singolare inoltre la scelta di strutturare l’opera in due atti distinti in cui, a un necessario prologo introduttivo sui singoli personaggi, segue la lunghissima scena della cena (vero fulcro del film) in cui lentamente assistiamo alla trasfigurazione dei ragazzi in mostri.
La Schefrig non ha alcuna fretta di scoprire le carte e gioca ad esasperare lo spettatore, lasciandogli sì intendere che ci sarà una vittima sacrificale, ma mostrandogliene diverse possibili fino ad istillargli il dubbio che, forse, potrebbe addirittura non accadere nulla.
Poi invece qualcosa accade.
Oltre che dalla sapienza registica, la bontà del risultato è garantita anche da un parterre di attori che, a fronte di un’età giovanissima, riescono a rendere in maniera impeccabile la noia e la protervia che contraddistingue i personaggi che sono chiamati ad incarnare.
Era dai tempi del solo in parte riuscito Alpha Dog di Nick Cassavates che non si assisteva a un ritratto così duro, pur essendo comunque un prodotto di chiara impronta mainstream, dell’universo giovanile e delle sue più violente derive.
Voto 7
Da sempre convinto che, durante la proiezione di un film, nulla di brutto possa accadere, ha un passato da sceneggiatore, copywriter e altre prescindibili attività. A parte vedere film fa ben poco.
Al cinema i bad boys di Lone Scherfig, carismatici e ossessionati dal potere, interpretati da Max Irons, Sam Claflin e Douglas Booth.
Jordan Peele confeziona un horror ricco di suggestioni che valica il genere e ci costringe a guardare in faccia il nostro peggior nemico. Noi stessi.
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