Noi
— 4 aprile 2019Jordan Peele confeziona un horror ricco di suggestioni che valica il genere e ci costringe a guardare in faccia il nostro peggior nemico. Noi stessi.
Presentato nei giorni scorsi durante la nona edizione del Festival Internazionale del Film di Roma, l’ultima fatica di Gianni Di Gregorio, regista, attore e sceneggiatore romano, sembra essere arrivata giusto in tempo per ricordarci che nella commedia italiana è ancora possibile ridere con garbo ed eleganza. Dopo il successo di Pranzo di Ferragosto e l’accoglienza più tiepida (chissà poi perché) riservata al successivo Gianni e le donne, Di Gregorio torna a raccontarci una storia piccola con la quale ben sintetizza la delicata situazione che in questo momento stanno vivendo in tanti: quella degli esodati.
Il regista e interprete si cala così nei panni di Gianni, ormai il suo alter ego cinematografico, un impiegato nel settore pubblico che, dopo anni di lavoro, sta per raggiungere la tanto agognata pensione. Una mattina, però, i suoi piani vengono stravolti da una circolare del ministero che lo costringerà a rimanere in servizio per altri tre anni, e per giunta, in un nuovo ufficio lontanissimo da casa sua. Un’occasione che permetterà a Gianni di cambiare vita, facendo amicizia col vicino di scrivania di Marco (Marco Marzocca), ingenuo ed efficiente che, proprio come lui, non sa dire di no ai colleghi tanto incapaci quanto arrivisti che lo riempiono di lavoro. Soprattutto alla morbida Cinzia (Valentina Lodovini), che esercita su di lui un fascino particolare. Per Gianni, sarà sufficiente una chiacchierata con il dentista e attuale compagno della sua ex moglie (Marco Messeri), per cambiare idea e approcciarsi al mondo in un modo completamente nuovo. E per il suo amico Marco?
Con una storia così, come si fa a non pensare a Fantozzi? Un ufficio pubblico, un protagonista che non sa dire di no e un altro che non ha la forza di ribellarsi alle angherie dei colleghi. In realtà però ci sono diversi aspetti per cui Gianni e Marco non sono affatto simili al ragionier Ugo. Innanzitutto perché la “sfiga” di Gianni (ma anche quella di Marco), smette di essere tale nel momento in cui il personaggio si rende conto che è il suo atteggiamento remissivo e sempre accomodante a far sì che il mondo lo percepisca come “sfigato” e lo tratti di conseguenza. In Fantozzi questa presa di coscienza non c’è, anzi: è proprio la mancanza di sviluppo di questo aspetto che ha consentito la realizzazioni di dieci film il cui vero punto di forza sta nella mancanza di crescita del personaggio. Poi c’è un’altra profonda differenza. Mentre nella saga fantozziana sono il cinismo e l’aggressività a farla da padroni, rimarcando il messaggio per cui sono i furbetti e gli scaltri a vincere e a cavarsela nella vita, Buoni a nulla lascia da parte l’arroganza: Gianni imparerà a dire di no, e Marco a farsi rispettare dai colleghi, ma questo non farà certo di loro dei cattivi e non li trasformerà in personaggi parzialmente negativi, anzi.
Similitudini a parte, l’ultimo film di Di Gregorio è una vera e propria boccata d’aria fresca per il nostro cinema per il modo in cui riesce a raccontare, in modo semplice, quello che ciascuno di noi potrebbe trovarsi ad osservare dalla finestra di casa: una storia minuta, portata avanti senza virtuosismi ma con buongusto e leggerezza. Dopo una prima parte fluida e impeccabile, il ritmo rallenta un po’, è vero, ma le performance di un ormai rodato Di Gegorio e di un divertentissimo Marzocca, fanno dimenticare qualche innocente intoppo nello script.
Voto 7
Giornalista freelance e blogger, un giorno le è venuta l'idea di aprire questo sito. Scrive di cinema e gossip e nel buio di una sala cinematografica si sente a casa.
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