Noi
— 4 aprile 2019Jordan Peele confeziona un horror ricco di suggestioni che valica il genere e ci costringe a guardare in faccia il nostro peggior nemico. Noi stessi.
Rieccoci nel mondo alla rovescia di David Ficher con quella che è senza dubbio la sua pellicola più brutale ed elegante, diabolica e ossessiva: L’amore bugiardo – Gone Girl, ultima fatica del regista di Se7en, Fight Club, Zodiac, The Social Network e tante altre meraviglie.
Tratto dal best-seller di Gillian Flynn, che è anche autrice della sceneggiatura, il film ruota attorno alla storia di un uomo, Nick (Ben Affleck), accusato dell’omicidio della moglie scomparsa, Amy (Rosamund Pike), mentre la coppia si accinge a festeggiare il quinto anniversario di matrimonio. Di più non vi diremo perché ogni altro dettaglio rovinerebbe le mille sorprese che Gone Girl si porta dietro.
Raccontando la crisi della società contemporanea attraverso quella del matrimonio di Nick e Amy, che nelle sue mani demiurgiche diventano gelidi protagonisti che riflettono della luce e dei sentimenti dei comprimari, decisamente più simili a personaggi cinematografici con i quali siamo abituati a empatizzare, Fincher mescola le carte in tavola, lo fa più di una volta e si diverte a spostare il baricentro della storia portando chi guarda a chiedersi non tanto cosa sia accaduto ad Amy ma piuttosto chi siano davvero Nick e la sua perfetta e algida mogliettina. Mostrando pieno controllo sull’enorme quantità di materiale di cui si compone il film (e concedendosi un paio di scivoloni “contenutistici” solo nel finale), il regista di Denver lo plasma come fosse plastilina e lo marchia a fuoco con la sua inconfondibile cifra stilistica. E quando tutto finisce, non possiamo far altro che accettare l’illogicità e i compromessi ai quali siamo costretti a sottostare, fino ad abbracciarli e a viverci accanto, senza la possibilità di reagire in alcun modo.
Con una precisione chirurgica e un incedere ipnotizzante che non molla la presa per tutti i suoi 145 minuti di durata, il nuovo thriller di David Fincher mette in scena tutte le tematiche care al regista esprimendo appieno il cinismo e l’apparente imperturbabilità che campeggia nelle sue pellicole: violenza, inganni, cambi di prospettiva, stravolgimenti di vite ordinarie, assenza di una morale dominante, il ruolo fondamentale dei media nella società contemporanea e l’elemento del mostruoso, che è sempre in agguato. L’autore che più ogni altro ha reso la dissimulazione un elemento cardine dei suoi lavori, questa volta sembra divertirsi più del solito a giocare con lo spettatore, mettendo in scena situazioni che nell’inquadratura successiva è pronto a rinnegare, provocandogli continui dubbi e incertezze.
Ben Affleck non aveva un ruolo così calzante da quando ha interpretato George Reeves in Hollywoodland, ma la vera sorpresa del film è Rosamund Pike, fino ad ora relegata in ruoli piuttosto marginali (Orgoglio e pregiudizio, La versione di Barney, Jack Reacher – La prova decisiva) che in Gone Girl esplode in tutta la sua poliedricità (chi l’avrebbe mai detto?). Il suo è un ruolo hitchcockiano denso, folle e bellissimo, al quale forse avrebbe potuto aspirare una Grace Kelly dei tempi d’oro e che l’attrice inglese porta avanti con una risolutezza e una potenza davvero notevoli.
Voto 8
Giornalista freelance e blogger, un giorno le è venuta l'idea di aprire questo sito. Scrive di cinema e gossip e nel buio di una sala cinematografica si sente a casa.
David Fincher confeziona la sua opera più diabolica, elegante e destrutturata in cui nulla è come sembra.
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