Turner

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Nel suo ultimo film, Mike Leigh ci mostra il pittore Joseph Mallord William Turner (Timothy Spall), uno dei massimi esponenti del romanticismo inglese, nell’arco degli ultimi vent’anni della sua vita.
Estremamente burbero e refrattario alle relazioni sociali, che pure pratica con malcelato fastidio, Turner vive una vita solitaria, con la sola compagnia della devota governante Hannah (Dorothy Atkinson) e dell’anziano padre che gli fa da assistente.
Alla morte di quest’ultimo, il carattere del pittore diventa, se possibile, ancora più ispido e spigoloso e lo spinge ad allontanarsi ulteriormente dalle persone, con l’unica eccezione di Mrs. Booth, matura locandiera di Chelsea, con cui instaura, forse per la prima volta nella sua vita, un rapporto di grande complicità e rispetto, seppure in incognito.



Leigh, solitamente più a suo agio con piccole storie riguardanti gente comune, approccia lo spinoso genere del biopic senza rinunciare a nulla del suo stile fatto di tempi lunghi e basso profilo, finendo così col firmare un potentissimo e visivamente splendido elogio della normalità.
Seppure animalesco per modi e fattezze, Turner rappresenta infatti una delle rarissime incarnazioni cinematografiche di artista in cui, ad essere in primo piano, non sono gli eccessi o comunque l’artata amplificazione, a fini strumentali, di quel maledettismo in genere insito in ogni personaggio bigger than life.
Da un punto di vista tecnico invece, l’intuizione più felice di Leigh risiede nella scelta di descrivere il rivoluzionario apporto di Turner all’arte moderna senza mai focalizzarsi in maniera didascalica sui processi che ne hanno definito lo stile – di fatto il film racconta di un artista già ampiamente risolto – bensì costruendo ogni singola scena come se fosse essa stessa un quadro, attraverso un uso suggestivo e pittorico del digitale e della (straordinaria) fotografia,  giustamente candidata all’Oscar.
Ecco dunque irradiarsi dallo schermo la medesima luce che ha reso immortali le opere dell’artista inglese (soprannominato, non a caso, il pittore della luce) in un delicato e riuscito processo di osmosi tra cinema e pittura, ribadita anche dalla profonda fascinazione, mostrata nel film, di Turner per il mezzo fotografico allora agli albori.

Altro aspetto fondamentale della pellicola è l’estrema cura con cui Leigh osserva le dinamiche sociali tipiche della quotidianità dell’epoca, passando al setaccio la vacuità dell’alta borghesia londinese dei primi dell’Ottocento e che trova il suo climax in una scena che descrive una tipica conversazione altoborghese da ‘ora del tè’, in cui tutti i partecipanti – incluso un riluttante Turner –  sono chiamati, a turno, a conversare su un argomento di interesse pressoché nullo.
Tutto il film, sebbene a tratti fiaccato da una lunghezza eccessiva, è costruito sulla sottrazione, come una serie di quadretti di vita minima che, una volta giustapposti, concorrono a formare un quadro più ampio.
Motore dell’operazione e perno su cui fa leva la riuscita dell’opera è l’interpretazione “totale” di un Timothy Spall (Palma d’oro come miglior attore a Cannes per questo ruolo) che, smessi i panni abituali del caratterista, lavora di cesello su un personaggio complesso e, per molti versi, sgradevole.
La fisicità con cui l’attore si dona alla macchina da presa è impressionante così come la raffinatezza con cui riesce a illuminare il “suo” Turner con improvvisi e sparuti squarci di umanità che ne stemperano l’irsuta antipatia e, al tempo stesso, consentono allo spettatore il minimo sindacale in termini di processo empatico.
Di tutte le stranezze insite nella scelta dei candidati all’Oscar di quest’anno, quelle che risultano più inspiegabili sono proprio le mancate nomination di Mike Leigh come miglior regista e quella di Spall per l’interpretazione maschile.
Quest’ultima, in particolare, grida abbastanza vendetta.

Voto 7

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Fabio Giusti

Da sempre convinto che, durante la proiezione di un film, nulla di brutto possa accadere, ha un passato da sceneggiatore, copywriter e altre prescindibili attività. A parte vedere film fa ben poco.

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