Noi
— 4 aprile 2019Jordan Peele confeziona un horror ricco di suggestioni che valica il genere e ci costringe a guardare in faccia il nostro peggior nemico. Noi stessi.
Jack (John Cusack) ha un compito apparentemente semplicissimo da svolgere.
Deve solo ritirare una borsa, portarla in un Motel sperduto nel nulla e aspettare che il suo boss Dragna (Robert De Niro) venga a ritirarla.
Davvero nulla di complicato, specialmente in virtù di quanto Jack verrà pagato per questo lavoro.
Ci sono solo due condizioni sulle quali Dragna è piuttosto chiaro e non sembra avere alcuna intenzione di transigere.
La stanza dove avverrà lo scambio deve essere la numero 13 e Jack non deve, per nessun motivo, aprire la borsa.
Detto così sembra facile.
Solo che tutto va male.
E’ interessante come ci sia proprio un filone specifico di noir moderno che, da Le iene a In Bruges, prende le mosse dal meccanismo di sospensione temporale causata da un colpo andato male e dall’attesa di un boss che, almeno in teoria, dovrebbe arrivare e sistemare le cose.
E’ una cornice narrativa potenzialmente vincente più o meno dall’Aspettando Godot di beckettiana memoria, a patto che si abbia il talento – e, tornando agli esempi sopraccitati, sia Tarantino che Martin McDonagh ne hanno da vendere – di infarcire quell’arco di tempo dedicato all’attesa di dialoghi e personaggi di contorno spesso tendenti al registro grottesco e che, in qualche modo, spostino di continuo l’attenzione dello spettatore dal fine ultimo della storia, ossia l’arrivo del fantomatico boss.
E poi, è chiaro, c’è bisogno di un contesto spaziale ben connotato, un “altroquando” che amplifichi questa sensazione di sospensione del tempo e, nei casi migliori, provveda addirittura a dilatarlo.
David Grovic questi elementi ce li ha tutti e, in modo particolare, ha la location perfetta: quel Motel nel bel mezzo del nulla (“in the middle of nowhere” è una delle frasi più ricorrenti di sempre nella letteratura di genere e, in particolare, nel noir) che è uno dei luoghi simbolo di tutta la narrativa statunitense e che in questo caso, complice la presenza di John Cusack, ci mette davvero poco a richiamare alla mente quello, quasi uguale, del bellissimo e dimenticato Identity di James Mangold.
Non contento però, l’autore introduce un altro topos narrativo di indubbio fascino, ossia il MacGuffin (un qualsiasi oggetto dotato di importanza cruciale per i personaggi del film) qui rappresentato da una misteriosa borsa che è il vero motore dell’azione.
Una volta assicuratisi tutti questi elementi, le possibilità di fare un film brutto tendono ad assottigliarsi notevolmente e Grovic (qui al suo esordio sia come scrittore che come regista) sta ben attento a gestire i molti elementi in ballo in modo assai equilibrato.
Ha inoltre la felice intuizione di scegliere come protagonista John Cusack che sostanzialmente riprende lo stesso ruolo di Rischiose abitudini di Stephen Frears – solo incattivito e reso più cinico dagli anni passati – e la fortuna di ritrovarsi per le mani un Robert De Niro meno svogliato rispetto ai suoi standard attuali nel ruolo del pericolosissimo Dragna.
Poi ci sono violenza, disillusione, una femme fatale di bellezza soprannaturale (la modella brasiliana Rebecca De Costa) e tutto quello che ci si aspetta di trovare in un noir.
Questo per dire che Motel, pur non essendo un capolavoro, è abbastanza una manna per gli appassionati del genere.
B-movie fiero della sua natura di B-movie, ha forse la sua unica pecca nel non far nulla per elevarsi dal livello di compitino ben svolto che gli viene assicurato già solo dall’impostazione strutturale descritta poc’anzi, al contrario, ad esempio, di quanto fatto lo scorso anno da Steven Knight che ha dimostrato, con l’eccezionale Locke, come sia possibile costruire qualcosa di nuovo attorno al concetto di unità di spazio e tempo.
Voto 6,5
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