The Salvation

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Nonostante sia stato più volte annunciata la sua fine, in realtà il western è un genere che ha sempre alternato momenti di stanca ad altri di forte ripresa (pensate agli Oscar vinti da Balla coi lupi nel 1990 e da Gli spietati nel 1992 dopo che a Hollywood la fiducia nel genere era in picchiata dopo flop de I cancelli del cielo di Cimino, 1980). Nei periodi in cui il mito della frontiera sembra ogni volta morire, pronto a rinascere chissà quando e con chi (facile prevedere come l’uscita di The Hateful Eight di Tarantino riporterà il genere in auge ancora una volta), è interessante notare come questo cerchi disperatamente di mantenersi in vita riaffacciandosi sulla scena in pellicole non sempre di successo, ma che continuano a rafforzarne la forte identità connotativa. Merito anche delle caratteristiche (il mettere insieme storia e leggenda, il conflitto tra l’eroe e l’ambiente ostile che lo circonda, lo scontro fra etnie diverse, il nuovo mondo che si va formando) che appartengono al western e che gli consentono di adattarsi alle esigenze dei vari momenti culturali senza dover abbandonare una certa coerenza stilistica.
The Salvation assolve egregiamente questa funzione, pur arrivando nelle sale a più di un anno dalla presentazione a Cannes (era Fuori Concorso nel 2014) e in un periodo in cui l’offerta cinematografica si bilancia tra blockbuster milionari, ripescaggi di ogni sorta e pellicole di qualità – è questo il caso – che hanno trovato la via della distribuzione un po’ in ritardo.



Western danese dal sapore non eccessivamente definito, The Salvation ci porta nell’America del 1871 dove, tra colonizzatori e fuorilegge, Jon (Mads Mikkelsen), immigrato anni prima dalla Danimarca aspetta di riunirsi con sua moglie e il figlio, rimasti in Europa. Ma quando finalmente i due riescono a raggiungerlo, rimangono vitime di una terribile aggressione. Distrutto dal dolore, Jon uccide il responsabile, ignorando che si tratta del fratello dello spietato colonnello Delarue (Jeffrey Dean Morgan), un bandito che terrorizza il villaggio di Black Creek e che è disposto a tutto per vendicare l’assassinio del suo congiunto. Tradito e isolato dalla comunità, Jon è costretto a trasformarsi da uomo per bene, onesto e pacifico, in un fuorilegge solitario.

Il regista Kristian Levring (Quando verrà la pioggia, Fear Me Not), sceglie di tenersi piuttosto a distanza da quel provocatorio rigore stilistico che rappresentava invece  uno dei punti cardine di Dogma 95, manifesto del movimento cinematografico omonimo voluto da Lars von Trier e Thomas Vinterberg contro l’eccessiva “cosmetizzazione” del cinema, per raccontare sì con linearità e senza fronzoli, ma anche con un discreto uso di una CGI non proprio eccelsa, la vicenda di un uomo qualunque, protagonista involontario di una disperata storia di vendetta e sopravvivenza. Intriso di quella rassicurante retorica western che ci si aspettava di trovare già dopo aver visto il trailer, The Salvation dà il massimo nei primi venti minuti, in un prologo notevole, emotivamente teso e ben girato, e finisce col perdere mordente via via che il minutaggio scorre e che la componente scandinava si fa più evidente: quando l’azione dall’esterno si trasferisce nell’animo turbato del protagonista e la storia prosegue tra lunghi silenzi, insistenti primi piani e dettagli di mani che caricano Winchester a più non posso. Ciononostante il film riesce a trovare un proprio equilibrio, facendo leva su alcuni punti di forza, primo fra tutti il cast (con Mads Mikkelsen che lavora ancora una volta di cesello, poggiando la sua interpretazione su espressioni impercettibili e una Eva Green muta e sfregiata, incredibilmente magnetica) e poi il modo in cui Levring vede nel piccolo villaggio di Black Creek (nomen omen) la disfatta dell’American Dream. I suoi abitanti vorrebbero liberarsi dell’uomo che li tiene in pugno, il colonnello Delarue, cattivo a tutto tondo privo di sfumature verso cui nutrono al contempo, odio e timore reverenziale, ma sono inglobati in quel sistema. In un non luogo in via di definizione e in cui l’unica legge vigente è quella del più forte, figure come il sindaco che è anche becchino (un sempre convincente Jonathan Pryce) e il prete che è anche sceriffo, per Levring sembrano simboleggiare perfettamente la storia fallimentare di un paese le cui fondamenta poggiano sul caos e sul disordine.

Voto 6,5

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Carolina Tocci

Giornalista freelance e blogger, un giorno le è venuta l'idea di aprire questo sito. Scrive di cinema e gossip e nel buio di una sala cinematografica si sente a casa.

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