Noi
— 4 aprile 2019Jordan Peele confeziona un horror ricco di suggestioni che valica il genere e ci costringe a guardare in faccia il nostro peggior nemico. Noi stessi.
If it’s in a word, or if it’s in a book you can’t get rid of the Babadook
Alzi la mano chi da piccolo non è morto di paura ipotizzando l’esistenza di lugubri mostri e di oscure presenze lì dove c’era semplicemente un cappotto appeso a un attaccapanni. Da sempre ritenuti complici del malvagio, il buio e l’ombra lo favoriscono nel nascondersi sotto i letti o negli armadi, dove è libero di animare impermeabili e paltò. Partendo da queste paure ancestrali, cui aveva già dato vita in Monster, un pluripremiato corto realizzato nel 2005, la regista australiana Jennifer Kent confeziona Babadook, il suo primo lungometraggio, un film colmo di inquietudine e di sicuro il miglior horror visto quest’anno. Strano o quantomeno insolito, trovare una donna in cabina di regia di una pellicola appartemente a genere che è da sempre esclusivo appannaggio degli uomini, eppure mai come nel caso di Babadook era fondamentale che ci fosse del femminino a spaventare e soprattutto a disturbare lo spettatore a un livello più inconscio, facendo leva sulle sue paure più ataviche e radicate (il buio, l’abbandono, il distacco dalla figura dei genitori, l’elaborazione del lutto) e sui drammatici risvolti che possono nascondersi nel rapporto tra una madre e il proprio figlio, se portato all’estremo.
Conosciamo così Amelia (Essie Davis), mamma single tormentata dalla violenta perdita del marito e la vediamo combattere contro le paure di suo figlio Samuel (Noah Wiseman), convinto che un terribile mostro si nasconda in casa, pronto ad ucciderli. Quando un misterioso libro, dal titolo Mr. Babadook, entra in casa loro non si sa bene come, Samuel si convince che il mostro che vi è descritto con inquietanti illustrazioni ed emblematiche filastrocche sia proprio la terrificante creatura che popola i suoi incubi.
Prendendo spunto dalle tradizioni popolari serbe, la Kent reinventa la figura del Baba Roga (la “vecchia signora con corno” dell’Est Europa), una sorta di strega che vola utilizzando un mortaio e una scopa fatta di capelli e che se ne va in giro di notte alla ricerca di bambini maleducati da far sparire in modi spaventosi, e la rivede e corregge a proprio piacimento, rendendola visivamente un mix tra il Boogeyman della trilogia horror e il Nosferatu di Murnau. Attingendo a piene mani dal cinema espressionista tedesco, la Kent poi “saccheggia” al Lon Chaney de Il fantasma del castello le ali da pipistrello e il cupo cappello a cilindro: et voilà, il Babadook prende forma, attraverso le pagine di un libro pop-up il cui titolo anagrammato si trasforma in “a bad book” (con le azzeccatissime illustrazioni di Alexander Juhasz).
Polanskiano fin nel midollo, (elementi quali il conflitto tra spazio esterno e interno presente nei film che compongono la trilogia dell’appartamento del regista polacco sono qui presenti e amplificati, affiancati a un altro leitmotiv dell’autore di Chinatown: il meticoloso utilizzo dello spazio domestico come teatro della psicopatologia che affligge i protagonisti, Amelia e Samuel, proprio come accadeva a Catherine Deneuve e Mia Farrow rispettivamente in Repulsion e Rosemary’s Baby) nel raccontare la lenta discesa di una donna verso la follia più estrema, Babadook è un horror sui generis reso tale dall’abilità della regista nel mostrare il giusto, senza essere né troppo esplicita, né troppo avara. Coerente e conciso, forte di una sceneggiatura intrigante e piuttosto insolita, non utlizza i soliti trucchi per spaventare (il volume della colonna sonora che subisce un’impennata, o il mostro di turno che compare all’improvviso dietro alla porta che si spalanca) ma costruisce un orrore molto più complesso e stratificato, sostenuto da una tensione narrativa tale da rendere ancora più esplosivi i momenti di suspance.
La forza dell’elemento metaforico che accosta la presenza demoniaca allo stato emotivo e sentimentale dei suoi protagonisti, in particolare di Amelia, unito a quello visivo reso particolarmente forte dalle illustrazioni del libro e delle filastrocche in esso contenute, rende Babadook un’esperienza filmica necessaria sulla forza oscura che abita ciascuno di noi e sull’accettazione del Male come entità duttile e poliedrica.
Voto 8
Giornalista freelance e blogger, un giorno le è venuta l'idea di aprire questo sito. Scrive di cinema e gossip e nel buio di una sala cinematografica si sente a casa.
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