Inside Out

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Nel 2001 i fratelli Farrelli (quelli di Scemo e + scemo, Tutti pazzi per Mary e Io, me & Irene) se ne uscirono con un film a tecnica mista, Osmosis Jones, nel quale facevano entrare lo spettatore nel corpo di un trasandato Bill Murray mentre combatteva a sua insaputa contro un virus potenzialmente letale. Ora è Pete Docter (il regista dei lungometraggi migiori di casa Pixar: Toy Story, Monsters & Co., Up) a prenderci per mano e a portarci all’interno di un altro corpo. Quello dell’undicenne Riley, nella cui mente confusa e ingarbugliata di adolescente, le emozioni Gioia, Tristezza, Rabbia, Disgusto e Paura collaborano per garantirle stabilità e preservare l’integrità dei diversi aspetti della sua personalità. Quando si trasferisce con i genitori dal Minnesota a San Francisco, Riley vivrà un destbilizzante terremoto emotivo con Paura, Rabbia e Disgusto che prenderanno il sopravvento. Relegate in un angolo remoto della mente in cui si trova la memoria a lungo termine, Gioia e Tristezza dovranno collaborare, intraprendendo un avventuroso viaggio per tornare a fare squadra insieme con le altre emozioni.



Con la consueta abilità sia tecnica che narrativa che contraddistingue i suoi lavori, Pete Docter realizza con Inside Out un’indagine puntuale e divertente sulle difficoltà della crescita e su quanto le emozioni svolgano un ruolo fondamentale nel farci affrontare quotidianamente ostacoli e nuove esperienze. La personificazione degli stati d’animo che guidano il percorso di crescita della piccola Riley è il frutto di una trovata concettualmente geniale, arricchita da una caratterizzazione che lo è altrettanto e che fa leva su alcuni elementi che la rendono ancora più azzeccata (i colori scelti a simboleggiare gli umori, la gestualità e la mimica corporea particolarmente insistita di ciascuno dei cinque esserini che ne denota immediatamente le rispettive sfaccettature psicologiche).

Lavorando su più fronti e puntando sia su sperimentazione e innovazione, che su poesia e consapevolezza dei concetti da veicolare, il plot di Inside Out si sviluppa su due linee narrative parallele che affrontano quello che accade fuori e dentro la mente di Riley con una semplicità e una fluidità insolite che ricordano molto da vicino le realtà contigue viste in Monsters & Co.. Ma la vera forza del film va cercata nei livelli di lettura che è in grado di offrire a ogni tipo di pubblico (compresa quella metacinematografica: la mente di Riley raffigurata come una cabina di regia, il set cinematografico in cui prendono vita i sogni) e nella capacità di affrontare con freschezza non solo il tema delle emozioni e del critico passaggio all’adolescenza, ma anche un argomento piuttosto ostico da trattare, soprattutto in un film d’animazione, come la memoria, facoltà utile sì a conservare il passato ma anche a far crescere e a garantire un futuro. Il passato di Riley è “felice”, ed è fatto di una famiglia senza pensieri e dei momenti passati con gli amici d’infanzia in Minnesota, ma ora rivive nella sua testa solo come un ricordo a cui agognare (e quindi, forse, sogno?) non trovando un corrispettivo nella realtà dell’oggi. Per Riley, quindi, crescere vorrà dire imparare ad acccettare che i suoi ricordi vengano “abitati” anche dalle altre emozioni, Tristezza in primis, e non unicamente dalla Gioia come accadeva in precedenza.  Ed è proprio sul finale che Inside Out scopre le carte e si mostra in tutta la sua grandezza: quella di un racconto di formazione coerente e perfettamente strutturato in cui coscienza e stati d’animo dialogano e si confrontano per rendere accettabili le conseguenze che costellano di difficoltà ogni percorso evolutivo.

Voto 9

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Carolina Tocci

Giornalista freelance e blogger, un giorno le è venuta l'idea di aprire questo sito. Scrive di cinema e gossip e nel buio di una sala cinematografica si sente a casa.

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