Noi
— 4 aprile 2019Jordan Peele confeziona un horror ricco di suggestioni che valica il genere e ci costringe a guardare in faccia il nostro peggior nemico. Noi stessi.
Orazio (Enrico Brignano) è uno shampista per animali che non ama il sesso in assenza d’amore.
Chiara (Vanessa Incontrada) è una food designer che invece il sesso lo amerebbe pure, se solo non fosse afflitta da un disturbo che le impedisce di raggiungere l’orgasmo.
Che le strade dei due, per una serie di malintesi, a un certo punto si incrocino è addirittura scontato.
Che tale incontro possa essere costellato da una sequela interminabile di luoghi comuni e facili doppi sensi, trattandosi di una commedia italiana, lo è altrettanto.
Meno scontato semmai è che l’intera storia venga raccontata, a posteriori, da Orazio ad un orango.
Quello che infatti potrebbe essere scambiato per un semplice escamotage, foriero giusto di qualche risata assai easy, finisce per diventare il triste manifesto programmatico del film.
Non solo per la sintassi elementare che ne contraddistingue la narrazione, ma soprattutto per l’inevitabile rapporto empatico che ben presto si viene a sviluppare tra lo spettatore e il primate, costretti entrambi in uno spazio chiuso (il primo in sala mentre la scimmia è nel ben più angusto abitacolo di un’automobile) e resi, loro malgrado, depositari delle confidenze del protagonista.
Si tratta, in estrema sintesi, di una delle possibili derive (forse la peggiore) del classico canovaccio che vede una donna bellissima preferire la goffa simpatia del protagonista maschile alla bellezza priva di sostanza di un antagonista figo ma un po’ stronzo.
L’incredibilmente prolifico Alessio Maria Federici (l’orrido Fratelli unici è uscito poco meno di un anno fa) prende così il soggetto di un qualsiasi film di Leonardo Pieraccioni, sostituisce Brignano a quest’ultimo, sposta la location da Firenze a Roma e il gioco è fatto. Solo che è strano che un’operina nata con il solo scopo di far divertire si riveli fin da subito incapace di strappare la seppur minima risata.
D’altronde quando il livello di humour è tale da far rimpiangere la caserma (il top è una suora che dice a Brignano “le tiro fuori l’uccello” alludendo in realtà a un pappagallo) è abbastanza difficile aspettarsi altro che sorrisi imbarazzati e sguardi allarmati all’orologio. L’unica cosa divertente di questo Tutte lo vogliono – e, qualora ve lo steste chiedendo, quello che tutte vogliono è esattamente ciò a cui state pensando – è che per scriverne l’esile sceneggiatura ci si siano messi addirittura in sei, regista compreso.
Un vero e proprio pool di cervelli che non riesce ad andare oltre l’armamentario più ritrito di scambi di persona, vibratori a forma di paperella e volgari stereotipi sul sesso, vantaggi della depilazione maschile compresi.
A farne più le spese – spettatori paganti a parte – sono soprattutto i due protagonisti. In primis un Enrico Brignano che vede pesantemente castrata la sua naturale vis comica, costretta nei panni di questo ingenuotto, romantico in maniera inverosimile e con una bislacca passione per la chiacchiera con gli animali, a metà strada tra Ace Ventura e il dottor Doolittle. Per non parlare poi della Incontrada, palesemente in imbarazzo con un materiale drammaturgico di tale “spessore”.
Spesso, da queste parti, ci troviamo a lamentarci della bassissima qualità della commedia italiana di ultima generazione, sentendoci quasi in obbligo di lodare i pochi e sparuti tentativi di alzare anche di poco il livello (valgano come esempi Smetto quando voglio di Sydney Sibilia e il più recente Noi e la Giulia di Edoardo Leo) ma l’impressione è che film come Tutte lo vogliono vanifichino anche i più timidi sforzi fatti in quel senso.
Ciò che irrita maggiormente è una grave forma di sottovalutazione del pubblico di riferimento che, unita al triste retaggio della stagione da poco conclusa dei cinepanettoni, evidentemente spinge chi questi film li scrive a pensare che nel 2015 qualcuno possa ancora ridere di battute come “la donna giusta è quella che te la dà. Come cosa? La stima”.
Dissolvenza.
Voto 3
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