Crimson Peak

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Con una filmografia che spazia in modo insolitamente vario e che prende spunto da fumetti e videogiochi come dal dramma storico e sociale, dai classici della letteratura gotica e dal cinema di genere, risulta più che compresibile la febbrile attesa che si viene a creare prima di ogni nuovo film di Guillermo del Toro, se non altro per la curiosità di vedere fin dove può ancora spingersi l’immaginazione di un autore tanto bulimico e fantasioso. Ma meglio togliersi subito il sassolino dalla scarpa: Crimson Peak difficilmente consacrerà in via definitiva il regista messicano che con La spina del diavolo e Il labirinto del fauno era riuscito a fondere perfettamente il macabro e il favolistico, la gothic novel e il thriller. Perché con il suo ultimo lavoro del Toro si limita a prendere un classico racconto gotico e a contaminarlo, creando una sorta di horror che poi horror non è, ma è più una fiaba dark, in grado di distinguersi per atmosfere e resa visiva, ma non per contenuti.



Veniamo immediatamente catapultati nella Buffalo del diciannovesimo secolo, dove l’eterea Edith Cushing (Mia Wasikowska), giovane benestante con il sogno nel cassetto di diventare un’affermata scrittrice, conosce e si innamora di Sir Thomas Sharpe (Tom Hiddleston), misterioso rampollo di una famiglia inglese di nobili origini con il pallino per le invenzioni. In seguito ad una serie di drammatici eventi, Thomas porterà la novella sposa Edith a vivere con sé e con sua sorella l’affascinante ed enigmatica, Lady Lucille Sharpe (Jessica Chastain), nella fatiscente e lugubre magione di famiglia infestata da oscure presenze, costruita su una cava di argilla rossa in cui sta lentamente sprofondando. Tra i fantasmi del passato e il mistero che avvolge i fratelli Sharpe, ben presto la vita di Edith si trasformerà in un incubo. Ma dimenticate il terrificante bimbo fantasma pallido e triste con la testa squarciata da una ferita da cui continua a uscire sangue che gli fluttua intorno come un nube rossa, in quella meraviglia di ghost story politica, racconto di formazione e metafora della guerra e dell’oppressione insieme che era La spina del diavolo. Perché i fantasmi di Crimson Peak saranno anche belli, ma non fanno paura neanche un po’.

Attingendo a piene mani dai classici degli anni Quaranta, dalla hitchcockiana Rebecca passando per il Jane Eyre di Robert Stevenson e il Grandi speranze di Lean, ma anche da pellicole successive che hanno avuto un ruolo fondamentale nel definire dei dettami del cinema di genere (molti film della Hammer, Operazione paura di Bava o il Changeling di Peter Medak), del Toro si avvale di straordinari collaboratori – lo scenografo Tom Sanders, la costumista Kate Hawley e il direttore della fotografia Dan Laustsen – per dar vita sullo schermo a quello che la sua ingorda immaginazione ha concepito. Ma mentre visivamente è tutto un trionfo di colori saturi e funzionali all’andamento della storia, di splendidi costumi e di trovate immaginifiche (la spettrale magione senza un tetto che sembra uscita da un racconto di Poe, il cui salotto è alla mercé di quello che cade dal cielo, che siano fiocchi di neve o farfalle in punto di morte, è un dettaglio estremamente suggestivo), dal punto di vista della storia e del suo sviluppo, la sceneggiatura scritta dallo stesso del Toro e dal suo storico collaboratore Matthew Robbins (Mimic, Le Concert) presenta non pochi problemi. Appurato che ci si stia muovendo nel territorio della fiaba dark più che in quelli strettamente horror, accettiamo di buon grado l’assenza di quel turbamento psichico forte e improvviso che va sotto il nome spavento, ma rinunciare alla tensione narrativa e alla suspense e subire passivamente una vicenda sì semplice, ma anche dai risvolti eccessivamente scontati, è chiedere un po’ troppo. Si fa fatica a empatizzare con personaggi, drammaturgicamente privi di spessore e che si esprimono in modo inadeguato al contesto: una Mia Wasikowska che si aggira per i corridoi della casa con un candelabro in mano e un’espressione da statua di cera e persino con un Tom Hiddleston insolitamente ingessato. L’unica a convincere è una sempre perfetta Jessica Chastain, qui alle prese con un ruolo malizioso astuto e crudele che le calza a pennello.

Ecco allora che Crimson Peak, spogliato degli orpelli, si mostra per quello che è:  un melodramma gotico stilisticamente impeccabile, ma anche estremamente prevedibile. Intrappolata da un estetismo totalizzante a scapito di uno script che non sfrutta a dovere elementi potenzialmente detonanti come l’immoralità dei due fratelli contrapposta all’ingenuità di Edith, tutta la vicenda perde di emotività e si avvia verso l’unica conclusione possibile, senza puntare minimamente su svolte improvvise o colpi di scena. Peccato davvero.

Voto 5,5

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Carolina Tocci

Giornalista freelance e blogger, un giorno le è venuta l'idea di aprire questo sito. Scrive di cinema e gossip e nel buio di una sala cinematografica si sente a casa.

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