Noi
— 4 aprile 2019Jordan Peele confeziona un horror ricco di suggestioni che valica il genere e ci costringe a guardare in faccia il nostro peggior nemico. Noi stessi.
Presentato all’ultimo Festival di Cannes nella Quinzaine des réalisateurs e liberamente tratto dal romanzo Dejarse llover di Paula Farias (direttore operativo di Medici senza Frontiere), Perfect Day è uno di quei film che sorprendono. Lontano dall’essere un’opera che punta tutto sul cast e privo di aspirazioni autoriali, da cui anzi si tiene bene alla larga, si concentra sul particolare per cercare di arginare un universale troppo duro da affrontare de visu, affidandosi all’ironia come unico filtro contro il dolore.
Bosnia, 1995. Mentre si allontanano faticosamente gli ultimi echi del conflitto all’indomani di una pace ufficialmente siglata ma ancora non effettiva, soprattutto sulle montagne, una squadra di quattro operatori umanitari è impegnata nelle impervie terre balcaniche. Il team, guidato dal carismatico Mambrù (Benicio del Toro), ha una missione da portare a termine: rimuovere un cadavere da un pozzo per evitare che contamini la sola fonte di acqua potabile della zona. Ad aiutarlo in quella che sembra un problema risolvibile in cinque minuti, B (Tim Robbins), volontario di lungo corso e allergico alle regole, Sophie (Mèlanie Thierry), ingenua idealista appena arrivata dalla Francia, e la bella e disinvolta Katya (Olga Kurylenko), vecchia conoscenza di Mambrù.
Pellicola corale dal titolo ironico (difficile immaginare, in guerra, un giorno perfetto) e priva di ogni retorica, Perfect Day ha nell’approccio sarcastico la sua più grande arma, mostrando come nel caos e nell’anarchia che la guerra porta inevitabilmente con sé, l’unico avversario degno a combatterla sia la vita, con le sue piccole assurdità quotidiane. Fernando León de Aranoa, cineasta madrileno qui al suo settimo lungometraggio (suoi Barrio, I lunedì al sole e Princesas), da sempre attento osservatore di microcosmi e brillante dialoghista, ha trasformato le zone più brulle della Spagna centrale nei suoi Balcani, terra di nessuno in cui la squadra di quattro cooperanti (più l’interprete Damir, Fedja Stukan, che non sempre traduce le atrocità che è costretto a sentire), si trova a dover combattere con la stupidità di una burocrazia farraginosa e inefficace, una piramide al cui vertice siedono i Caschi blu dell’ONU, che da tempo sembrano aver perso di vista i veri problemi. In un contesto simile, anche trovare una corda o un pallone può cambiare l’esito di una brutta giornata.
Benicio del Toro e Tim Robbins sono due mattatori d’eccezione, meno incisivo ma comunque azzeccato il cast femminile, che trova nello sguardo inesperto del personaggio interpretato da Mèlanie Thierry una finestra perfetta a cui affacciarsi su questo strano mondo.
Voto 7,5
Giornalista freelance e blogger, un giorno le è venuta l'idea di aprire questo sito. Scrive di cinema e gossip e nel buio di una sala cinematografica si sente a casa.
L’umorismo che mitiga l’orrore: Fernando León de Aranoa e il suo poker di splendidi attori in un’opera semplice e incisiva.
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