Noi
— 4 aprile 2019Jordan Peele confeziona un horror ricco di suggestioni che valica il genere e ci costringe a guardare in faccia il nostro peggior nemico. Noi stessi.
Cambia decisamente aria, Iñárritu e dopo gli angusti dietro le quinte di un teatro di Broadway utilizzato come set per Birdman, ci porta nell’America della frontiera, sconfinato campo di battaglia che fu teatro dell’epopea coloniale in cui negli anni Venti dell’Ottocento i trappers, i cacciatori di pelle d’orso, nativi americani e i migranti europei, si contendevano quell’immenso territorio con spietata efferatezza. Ispirato al libro scritto da Michael Punke sulla vita di Hugh Glass, già al centro di Uomo bianco, va’ col tuo dio, pellicola diretta nel 1971 da Richard C. Sarafian, Revenant – Redivivo racconta l’incredibile avventura dell’ uomo (Leonardo DiCaprio) che, durante una battuta di caccia, viene brutalmente attaccato da un orso e dato per spacciato dai membri del suo stesso gruppo. Tradito da uno dei suoi compagni (Tom Hardy) e abbandonato in mezzo al nulla senza viveri né armi, Glass affronterà una sanguinosa e disperata ricerca della sopravvivenza mosso dal desiderio di vendetta nei confronti di chi gli ha voltato le spalle e lo ha privato dell’unico affetto rimastogli accanto.
Curioso come il percorso artistico di Alejandro González Iñárritu, con sei lungometraggi all’attivo, appaia perfettamente diviso a metà: se i primi tre film (Amores Perros, 21 grammi e Babel, che vanno a comporre la “trilogia sulla morte”) marchiati a fuoco dalle sceneggiature esistenzialiste di Guillermo Arriaga, erano storie corali, gli ultimi tre (Biutiful, Birdman e questo Revenant), realizzati dopo il divorzio artistico dallo scrittore messicano, raccontano invece l’epopea di un solo personaggio nel momento più critico della sua vita mentre è impegnato a combattere strenuamente per sopravvivere. A unire i due periodi, una sottile linea tesa tra due elementi che hanno caratterizzato la filmografia di Iñárritu: la provvidenza, che si manifesta attraverso passaggi onirici intrisi di realismo magico e il caso, la fatalità, entità totalmente opposta alla prima e ben più terrena, che non fa altro che ostacolare il percorso dei personaggi.
Quello di Iñárritu è un cinema totalizzante, che non scende a compromessi e che vuole tutto e subito e Revenant non fa eccezione. Girato in sequenza utilizzando solo la luce naturale, il film ha avuto un iter produttivo ai limiti del drammatico con sforo di tempo e di budget, licenziamenti in tronco sul set e condizioni climatiche proibitive (con temperature che hanno sfiorato i -40°) che non hanno aiutato, per non parlare dei frequentissimi cambi di idea del regista che ha voluto girare più volte e in modo differente un’infinità di scene. Ma il risultato lascia davvero senza fiato. Il regista messicano sceglie di affrontare la natura selvaggia come lo avrebbe fatto Terrence Malick e per essere sicuro di riuscire nell’ardua impresa si affida ai collaboratori più stretti dell’autore de La sottile linea rossa: non c’è solo Emmanuel Lubezki come direttore della fotografia, ma anche lo scenografo Jack Fisk e Jaqueline West ai costumi (tutti e tre candidati all’Oscar). Ma nel suo cinema c’è anche tanto Herzog e quella ricerca costante di filmare l’infilmabile, di spingersi sempre oltre il limite del possibile (la scena dell’aggressione dell’orso ne è un perfetto esempio). Per raccontare uno degli episodi più crudi e sanguinosi nella storia della frontiera americana senza alimentarne il mito, poi, Iñárritu sceglie due interpreti come Leonardo DiCaprio, il buono, e Tom Hardy, il cattivo, quest’ultimo con tanto di cicatrice sullo scalpo bene in vista. Il primo, alle prese con la prova più straziante della sua carriera, ha un copione tutto mugolii, rantoli e respiri e incarna perfettamente lo spirito della Vendetta. Il secondo gli tiene testa egregiamente e adatta ai suoi tratti la figura di un villain basso e volgare, disposto a tradire il Paese e i compagni per un pugno di dollari.
Due ore e trentasei minuti di virtuosismi registici e inquadrature mozzafiato, tripudio di obiettivi grandangolari (Welles, dove sei?) e piani sequenza, di alternanza tra campi così stretti da far appannare le lenti della mdp col respiro degli attori e così lunghi da sottolineare l’inconsistenza dell’uomo di fronte alla natura. Revenant è puro godimento che non concede tregua, spazio, respiro.
Voto 8,5
Giornalista freelance e blogger, un giorno le è venuta l'idea di aprire questo sito. Scrive di cinema e gossip e nel buio di una sala cinematografica si sente a casa.
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