1981: Indagine a New York

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Statisticamente il 1981 ha rappresentato uno degli anni più violenti nella storia di New York.
E proprio a New York, nel 1981, l’imprenditore ispanico-americano Abel Morales (Oscar Isaac) cerca, insieme alla moglie Anna (Jessica Chastain), di espandere la propria attività in modo onesto, mentre intorno la violenza dilaga e decadenza e corruzione minacciano di distruggere tutto quello che ha costruito fino ad allora. E, soprattutto, mettono a dura prova la sua incrollabile fede nella giustizia.

 
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Il terzo film di J.C.Chandor condivide con i precedenti e notevolissimi Margin Call e All is Lost – Tutto è perduto i medesimi presupposti strutturali – sostanzialmente l’analisi di macrorealtà complesse attraverso l’osservazione di pochi personaggi – ma purtroppo non la bontà del risultato.
Colpa principalmente di una forma che stavolta sopravanza e fagocita il suo contenuto. Troppo è infatti il divario tra uno stile già pienamente maturo e consapevole del proprio valore e una narrazione che, nel suo voler raccontare il lato più oscuro del sogno americano, allunga troppo i tempi, esagerando nel procrastinare un climax che – ahinoi – alla fine non arriva mai. Ed è un peccato perché il materiale di partenza c’era e non era neanche poca roba.
A partire dall’impressionante somiglianza fisica (e morale) tra l’Abel di Oscar Isaac e il Michael Corleone de Il Padrino che è solo la punta di un iceberg che corrisponde a un processo stilistico lucidissimo con cui J.C.Chandor sposa umori e suggestioni della cosiddetta New Hollywood.
Un processo le cui prime avvisaglie erano, tra l’altro, già evidenti nel succitato All is Lost, in cui la massima icona di quel periodo d’oro del cinema americano veniva presa e spogliata di quasi tutto il suo valore simbolico per essere esposta alla furia degli elementi naturali.
Qui il discorso si fa invece meno sottile e Chandor si limita a imitare, più che riscrivere, girando il suo film come se fossimo davvero in quei primi anni ottanta in cui registi come Alan J. Pakula, Sidney Pollack e soprattutto Sidney Lumet si posero domande fondamentali su cosa fosse rimasto intatto di quell’American Dream così pesantemente fiaccato dal precedente decennio a colpi di eroina e pubblica corruzione.

Ecco allora che, un po’ come Redford cercava di sopravvivere su una zattera opponendosi ai flutti, il protagonista di 1981: Indagine a New York (incomprensibile adattamento dell’originale A Most Violent Year) lotta con tutto se stesso per andare avanti senza sporcarsi, cercando così di restare una brava persona.
Ed è più o meno allo stesso modo che lo spettatore attraversa il film e le sue continue digressioni alla ricerca di elementi che ne facciano qualcosa di più di un, pur riuscito, esercizio di stile. Perché raccontare un periodo storico attraverso un’odissea privata è impresa difficile e irta di insidie, soprattutto laddove la narrazione non sia accompagnata dal sangue e dai colpi di pistola, sostituiti qui da dialoghi spesso ai limiti del prolisso sui concetti di morale e di onestà.
In maniera non dissimile da quanto accaduto con il James Gray di C’era una volta a New York, anche qui ci troviamo alle prese con un autore dotato di inestimabile talento che cade proprio nel momento in cui decide di affrontare di petto i propri miti. E proprio come in quel caso, la tentazione è di salvare il film di Chandor, magari appellandosi a indubbie doti tecniche (il lavoro sulla fotografia, ad esempio, è straordinario) o alle interpretazioni maiuscole sia di Jessica Chastain, che si produce in una moderna declinazione di Lady Macbeth, che di Oscar Isaac, finora mai così intenso.
Per dire che 1981: Indagine a New York è un film di cui è oggettivamente difficile parlar male.
E’ cinema morale, nel senso più eastwoodiano del termine.
Solo che non appassiona. E non è un difetto da poco.

Voto 5

 

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Fabio Giusti

Da sempre convinto che, durante la proiezione di un film, nulla di brutto possa accadere, ha un passato da sceneggiatore, copywriter e altre prescindibili attività. A parte vedere film fa ben poco.

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