Noi
— 4 aprile 2019Jordan Peele confeziona un horror ricco di suggestioni che valica il genere e ci costringe a guardare in faccia il nostro peggior nemico. Noi stessi.
Franco (Teo Teocoli) è un avvocato sessantenne appassionato praticante di sport che vede la propria vita cambiare radicalmente quando scopre che sta per diventare nonno e che il suo fisico non è poi così indistruttibile.
Angela (Sabrina Ferilli) è un’estetista in piena crisi di mezza età che inizia una storia con un ragazzo di vent’anni che si rivela poi essere il figlio della sua amica Sonia (Luisa Ranieri), sempre a caccia di toy boy.
Diego (Lillo) è un DJ radiofonico che deve fare i conti con gli anni che passano e con un giovanissimo e agguerrito youtuber che, forte di migliaia di “like”, minaccia di rubargli la trasmissione.
Infine c’è Giorgio (Fabrizio Bentivoglio), 50 anni e una fidanzata giovanissima, che finisce per innamorarsi, ricambiato, di una coetanea.
Tutti personaggi accomunati da una forma di incapacità ad accettare serenamente il tempo che passa e tutti immancabilmente messi di fronte a una scelta che cambierà il loro modo di vedere le cose.
Fausto Brizzi torna alla regia a tre anni dal tentativo di cinepanettone Indovina chi viene a Natale? forte di un’intuizione abbastanza felice, ossia provare a descrivere il senso di inadeguatezza che colpisce la generazione degli odierni cinquantenni, relegati anzitempo ai margini di un sistema che, il più delle volte, si limita a ignorarli, in virtù della loro supposta incapacità di sposarne i codici comportamentali e, quand’anche ci provino, li ridicolizza giudicandoli fuori luogo.
Peccato che, alla bontà dell’idea, non corrisponda la profondità di un’analisi che non fa mai niente per pungere, fermandosi – immaginiamo volutamente – ai piani più bassi della riflessione che il materiale di partenza pure avrebbe consentito.
Lo si vede piuttosto chiaramente nell’insistita unidimensionalità di ognuno dei contraltari giovanili dei protagonisti, che sia l’eccessivamente romantico toy boy della Ferilli o l’imberbe e odioso bimbominchia chiamato a sostituire Lillo nel suo programma in radio.
La stessa mancanza di aderenza al reale che si evince poi dalle abitazioni mostrate nel film: un susseguirsi di enormi e lussuosissimi loft che si quasi fatica a credere possano davvero esistere nella Roma di tutti i giorni.
E’ un po’ come se l’autore di Notte prima degli esami, giunto in qualche modo a metà di un guado superato il quale potrebbe imprimere una svolta più matura alla sua storia (e, di conseguenza, anche alla propria carriera) avesse invece deciso di navigare tranquillo e perseguire unicamente la più facile tra le possibili finalità, ovvero quella ludica.
Fortuna che, almeno in questo, il talento (suo e dei suoi coautori Edoardo Falcone e Marco Martani) lo assiste e gli consente di portare a casa il risultato.
Perché Forever Young è, al netto della sua leggerezza di fondo, assai più divertente della media dei film italiani rubricabili come commedie.
Merito senz’altro di una sceneggiatura abile a giocare coi luoghi comuni dell’età che avanza in maniera meno banale di quanto ci si aspetterebbe, ma anche di un cast affiatatissimo e pieno di eccellenze.
Su tutti un Fabrizio Bentivoglio mai così divertente, sintesi perfetta di dolce e amaro oltre che specchio (tra le diverse storie la sua è quella con l’epilogo più impietoso) di quello che il film avrebbe potuto essere e invece non è.
Ma tutti gli attori coinvolti sembrano in realtà divertirsi molto, da Lillo, che conferma la propria raggiunta maturità comica anche in assenza del sodale Greg a una Sabrina Ferilli particolarmente a suo agio nei panni di questa Milf così tenera e al tempo stesso sexy.
Magari Forever Young paga anche il prezzo di arrivare in sala subito dopo la dimostrazione di Paolo Genovesi, con il suo Perfetti sconosciuti, di come si possa coniugare in maniera perfetta intrattenimento e lucidità di analisi mettendo d’accordo critica e pubblico, ma l’impressione è quella di una scommessa persa più per il poco coraggio che non per un’effettiva mancanza di mezzi.
Voto 6
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