Svelato il programma del 38° Festival Internazionale del Film di Mosca

Di Andrea Bosco
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Qualche conferma, pochissime sorprese e, come al solito, tanta incertezza alla conferenza stampa per la presentazione del programma ufficiale del 38° Festival cinematografico internazionale di Mosca: l’annunciato Concorso a otto sale a quota dodici film, ma è l’unica sicurezza, oltre alle già acclarate pellicole d’apertura e di chiusura, a emergere in un mare di indiscrezioni e di buoni propositi.

Dopo aver reso un omaggio al Presidente di Giuria Jean-Jacques Annaud lasciando inaugurare la mostra, con un filo di piaggeria, al suo L’ultimo lupo, la rassegna sceglie di ripartire da Mosca con il veterano locale Sergey Solovyov, già Leone d’Argento a Venezia43 per Il colombo selvatico, e con il suo dramma adolescenziale sottoproletario Ke-dy, quanto di più distante dalle sfarzose atmosfere vintage del gran finale di edizione di Café Society di Woody Allen, per la prima volta presentato in Europa al di fuori dai Paesi di lingua francese.



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Si riaffacciano nella sezione competitiva le cementate vecchie conoscenze delle scorse annate, dall’Iran istituzionale e allineato di Reza Mirkarimi e del conflitto familiare del suo Dokhtar (La figlia) alla Serbia di Miloš Radovic e della sua commedia kusturiciana – vuoi anche per il coinvolgimento del Lazar Ristovski di Underground – Dnevnik masinovodje (Diario di un macchinista), dalla Corea del Sud di Kim Jong-kwan e della sua fantasia sentimentale Choe-ag-ui Yeo-ja (La donna peggiore) alla Polonia dell’ottuagenario Janusz Majewski e del suo sontuoso musical Excentrycy (Gli eccentrici), ma trova significativamente spazio, oltre allo spaccato neorealista filippino Hamog (Rugiada) e al ménage à trois parigino di Marie et les naufragés, anche un’insolita coppia sudamericana, composta dal fantascientifico Quase Memória dell’anziano Ruy Guerra, già Orso d’Argento a Berlino14 per I fucilie il minimale El sonido de las cosas, debutto dell’artista costaricana Ariel Escalante.

Se ad arricchire il panorama di una manifestazione che sembrava essersi fatta quasi refrattaria a qualunque influsso occidentale arrivano la tragedia dell’indifferenza di 37 dell’esordiente danese Puk Grasten e il bildungsroman LGBT Die Mitte der Welt, terza fatica dell’austriaco Jakob M. Erwa, i padroni di casa, in contrasto con la straripante presenza che gli si addice, si accontentano di schierare un unico concorrente, l’allegoria mistica e grottesca di Monakh i bes (Il monaco e il demone), diretto dal settantenne Nikolai Dostal’, di nuovo alla conquista del San Giorgio d’Oro dopo la vittoria del 2009 a partire da una sceneggiatura di Yuri Arabov, fedelissimo collaboratore di Aleksandr Sokurov.

Non ci resta, quindi, che rivolgere i nostri auguri a David Grieco e a Massimo Ranieri per una buona accoglienza in terra russa, anche se avremmo sinceramente preferito un ambasciatore più dignitoso del discutibile La macchinazione a completare la selezione, e attendere che, insieme alle presunte voci di corridoio che vedrebbero Fuocoammare di Gianfranco Rosi, il fluviale A Lullaby to the Sorrowful Mystery di Lav Diaz e Zero Days di Alex Gibney arrivare direttamente da Berlino66, la vetrina del secondo Festival cinematografico più antico del mondo accolga nuovi, imprevedibili ospiti.

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