Noi
— 4 aprile 2019Jordan Peele confeziona un horror ricco di suggestioni che valica il genere e ci costringe a guardare in faccia il nostro peggior nemico. Noi stessi.
Non stupisce affatto che la foto che ritrae Elvis & Nixon al termine del loro unico incontro sia l’immagine più richiesta dai curiosi agli Archivi di Stato di Washington. Non fosse altro perché giustappone in termini visivi due delle icone a stelle e strisce idealmente più distanti tra loro. Da un lato c’è infatti il re del rock, l’uomo capace di paralizzare un intero continente con il solo movimento del bacino, e dall’altro l’idea di politica più retriva e conservatrice (in una parola, meno rock) che sia possibile immaginare. Ciò che accomuna questi due mondi, nel breve attimo in cui si trovarono a entrare in contatto, è per lo più il fatto di essere entrambi ormai giunti sul viale del tramonto. In una mattina di dicembre del 1970 Elvis Presley si presenta infatti senza preavviso all’ingresso della Casa Bianca chiedendo di incontrare l’uomo allora più potente del mondo, il Presidente Richard Nixon. Come unica credenziale il Re del Rock and Roll ha una lettera scritta a mano che inizia così: “Caro Signor Presidente, innanzitutto vorrei presentarmi: sono Elvis Presley, ho molto rispetto per la sua carica e vorrei diventare un agente del governo sotto copertura.”
Di lì a qualche anno l’impero di Nixon sarebbe crollato sotto il peso del caso Watergate ed Elvis – la cui figura era già da tempo ridotta a una macchietta buona giusto per Las Vegas dalla rivoluzione della pop culture da un lato e dal cantautorato impegnato di Dylan dall’altro – sarebbe morto in circostanze mai del tutto chiarite. Ovvio che la collisione tra due figure così centrali nella definizione (se vogliamo anche distorta) americana di cultura potesse diventare prima o poi soggetto ideale per un film. La buona notizia è che il filtro utilizzato è quello della commedia per cui il senso di decadenza tipico della fine di un’epoca viene stemperato con estrema leggerezza da uno script che non pretende di aggiungere nulla di nuovo a quanto in realtà già non si sappia dei soggetti trattati né tanto meno azzarda eccessive analisi sociopolitiche a posteriori.
Il vero valore aggiunto di questo Elvis & Nixon non risiede infatti nella scrittura e nemmeno in una regia – scolastica ai limiti del paratelevisivo – che si limita a seguire gli eventi senza alcun particolare guizzo, ma è tutto racchiuso nell’interpretazione magistrale dei suoi due attori protagonisti. Michael Shannon tenta l’impossibile, spogliando il suo Elvis di tutti i tic più caricaturali di cui la sua immagine si è andata alimentando nel corso degli anni così da restituire al pubblico l’immagine di un uomo talmente abituato a recitare una parte da aver definitivamente perso ogni contatto con la realtà.
Ma il vero colpo di genio – l’assist definitivo – è il corto circuito semantico causato da Kevin Spacey alle prese con un Presidente degli Stati Uniti che è la risultante perfetta di una crasi tra il vero Richard Nixon e il Frank Underwood di House of Cards. Un Nixon quindi assai lontano dalle interpretazioni sovraccariche di Anthony Hopkins per Oliver Stone o di Frank Langella per Ron Howard ma non per questo meno riuscito. Ciò che emerge maggiormente dalle caratterizzazioni di questi due personaggi così larger than life – e che, allo stesso tempo, contribuì ad a avvicinarle – è il profondo senso di inadeguatezza di entrambi rispetto a un reale che non riescono a leggere, figuriamoci a interpretare. A dimostrazione di ciò basti pensare che l’intero incontro fu in realtà organizzato e coordinato dai loro rispettivi collaboratori. Ecco, se tutto il film si attestasse sul livello della recitazione staremmo parlando di un piccolo gioiello di commedia sofisticata. Solo che, ahinoi, ciò non accade.
Liza Johnson appare non del tutto capace di gestire cotanto materiale umano o, in ogni caso, di costruirvi attorno un’adeguata cornice stilistica, quasi adagiandosi sulla natura bizzarra della storia che racconta senza preoccuparsi troppo di trasformarla anche in un bel film. Con l’unica eccezione di un epilogo di rara amarezza che ci mostra come poi il sogno di Elvis di diventare un agente federale aggiunto fosse destinato a rimanere null’altro che l’ennesimo capriccio di una star in declino. Visione interessante, ma tutt’altro che imprescindibile.
Voto 6
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