Deepwater – Inferno sull’Oceano

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A distanza di due anni da Lone Survivor, Peter Berg e Mark Wahlberg tornano a collaborare per questo Deepwater – Inferno sull’Oceano, spettacolare cronistoria di quello che viene tristemente ricordato come il peggior disastro petrolifero nella storia degli Stati Uniti, ovvero la devastante esplosione di una piattaforma trivellatrice – la Deepwater Horizon appunto – avvenuta nel 2010 al largo del Golfo del Messico, in cui persero la vita ben undici dei 126 lavoratori a bordo.
Il film, tratto da un’inchiesta del New York Times, è da intendersi prima di tutto come un sentito omaggio a ognuna di quelle vittime e un elogio degli eroici componenti dell’equipaggio, costretti a dar fondo a tutto il loro spirito di sopravvivenza per cercare di salvarsi a vicenda e uscire vivi da quell’inferno di fiamme e fumo.
I protagonisti vengono presentati come persone assolutamente normali, ordinari working class hero che vogliono solo fare il proprio lavoro per poi tornare a casa da moglie e figli.
Non stupisce neanche tanto, quindi, l’estrema accuratezza dei primi passaggi, quelli in cui si descrive con estrema minuziosità la catena di evitabilissimi errori umani che condussero alla tragedia, il primo dei quali inevitabilmente legato all’avidità di un management che pretendeva di risparmiare proprio sui controlli di sicurezza.



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Pur essendo di base un disaster movie che più classico non si può (la struttura è grossomodo quella di Trappola di cristallo) Deepwater – Inferno sull’Oceano è quasi atipico nel suo indugiare più sulle cause tecniche dell’esplosione e sui suoi numerosi segnali premonitori che non sul disastro vero e proprio.
E Berg è abile nel costruire tensione attraverso un accumulo progressivo di elementi fatto soprattutto di continui stacchi di montaggio inframezzati da riprese della trivella subacquea, a evidenziarne la relativa fragilità strutturale contrapposta all’ingente numero di vite in gioco in superficie.
La porzione più corposa del film è quindi tutta incentrata sul presentimento dell’ineluttabile.
Poi, con la prima violenta fuoriuscita di liquido infiammabile e il divampare delle fiamme, inizia tutto un altro film e, per mezzora, il regista azzera qualsiasi distanza tra la sala cinematografica e l’azione, teletrasportando letteralmente lo spettatore tra le fiamme.
Le inquadrature si fanno sempre più strette, a braccare i corpi e farci percepire in maniera assai vivida la sensazione di claustrofobia che indicativamente si deve provare nel trovarsi su una inferno galleggiante in mezzo all’Oceano.

QUI LA NOSTRA INTERVISTA A MARK WAHLBERG

Quello di Berg è cinema orgogliosamente medio, che ha il suo pregio maggiore in una secchezza formale che contribuisce a sottrarre enfasi eccessiva ad una vicenda che è già fin troppo spettacolare di suo. Per dire che il film dura appena un’ora e mezza laddove un qualsiasi Michael Bay ci avrebbe costruito su un blockbuster da quasi tre ore. Se l’apparato tecnico è oggettivamente impeccabile e la struttura solida e rigorosa, qualcosa si potrebbe obiettare invece su uno script che poteva anche osare di più, a partire proprio dagli idealtipi umani utilizzati.
A prescindere da Mark Wahlberg, chiamato a interpretare qualcosa di molto simile a un eroe tout court, il resto della crew è composto da un Kurt Russell che fa un po’ troppo vecchio saggio del West (a tratti sembra ancora sul set di The Hateful Eight), una giovane donna fin troppo coriacea – guarda caso unico elemento femminile dell’equipaggio – e quella meraviglia di attore chiamato John Malkovich, qui costretto nei panni di un villain forse un tantino troppo monocorde.
Ma d’altronde alla base c’è una storia vera, e che storia, per cui ci piace immaginare che il processo drammaturgico possa aver abdicato di fronte ad una quanto più corretta rappresentazione della realtà.
Una realtà devastante che, ancora una volta, dimostra come qualsiasi battaglia ingaggiata dall’uomo contro gli elementi naturali (in questo caso il petrolio prima ancora che il fuoco) sia per forza di cose condannata alla più atroce delle sconfitte.

Voto 7

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Fabio Giusti

Da sempre convinto che, durante la proiezione di un film, nulla di brutto possa accadere, ha un passato da sceneggiatore, copywriter e altre prescindibili attività. A parte vedere film fa ben poco.

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