Manchester by the Sea

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Dopo la trionfale presentazione dello scorso gennaio al Sundance Festival, il magnifico Manchester by the Sea di Kenneth Lonergan arriva finalmente anche qui da noi, a illuminare di luce propria la seconda giornata di Festa del Cinema di Roma.
Se si esclude infatti la sfortunata parentesi di Margaret – opera seconda dell’autore segnata da una serie di problemi produttivi che nel 2011 ne fecero slittare l’uscita fino a negarle una distribuzione mondiale – era dal 2000 che di Lonergan si erano ormai perse le tracce. Da quel Conta su di me che, oltre a rivelare al mondo il talento attoriale di un giovane Mark Ruffalo, ipotizzava un’ideale punto di contatto tra mainstream e cinema indipendente e di quest’ultimo, inoltre, si trovava ad anticipare anche certe coloriture mumblecore a venire. Ed è profondo il legame tra quel film e Manchester by the Sea è forte, in una sorta di narrazione circolare che attenua il peso dei sedici anni (un tempo infinito se paragonato alla velocità dei ritmi cinematografici odierni) che li separano. In entrambi i casi si parla infatti di un ritorno a casa, anzi, in famiglia, con tutto il corollario di nodi irrisolti e non detto che abitano qualsiasi luogo che, a un certo punto, si sia deciso di abbandonare.



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E poi c’è l’eco di una tragedia indicibile che Lee (Casey Affleck) affronta ammazzandosi di lavoro e riducendo al minimo sindacale qualsiasi forma di responsabilità o anche solo di contatto umano.
Fino a quando l’improvvisa morte del fratello Joe (Kyle Chandler) non lo obbliga a tornare a casa per prendersi cura del nipote adolescente rimasto orfano. A quel punto Lee è costretto a fare i conti con un passato mai metabolizzato del tutto e con i fantasmi che, nonostante il tempo già passato, continuano a tormentarlo. In mezzo c’è tutta la malinconia di un’America innevata e periferica che sempre più di rado capita di vedere al cinema. Chi però, sulla scorta di quanto detto finora, sia tentato di pensare a qualcosa di indigesto nel suo affrontare il concetto di perdita e di elaborazione del lutto farebbe bene a ricredersi. Perché il primo miracolo compiuto da Lonergan e dal suo bellissimo film è proprio di donare infinita grazia (in alcuni momenti anche una leggerezza inimmaginabile) a un dramma che, in altre mani, avrebbe rischiato di trasformarsi in un mesto festival delle sfighe.
In questo invece Manchester by the Sea ha il pregio di somigliare alla vita e, proprio come la vita, non distingue in maniera netta il riso dal pianto, anzi talvolta addirittura li sovrappone.
E soprattutto ha il coraggio di affermare una verità ignota ai feticisti dell’happy ending e cioè che, molto semplicemente, ci sono mostri impossibili da sconfiggere.

Per il resto lo script (opera dello stesso regista) sa prendersi i suoi tempi, attraverso una narrazione lenta che non risparmia nulla allo spettatore, senza però risultare mai noiosa. Vediamo dunque questi personaggi soffrire, cercare se stessi o anche solo un barlume di redenzione, ormai rassegnati al fatto di non avere alcun controllo sulla piega che le loro vite, da un certo momento in poi, hanno preso. Molto si potrebbe dire dell’uso diegetico del montaggio che, già solo nella giustapposizione tra i due differenti piani temporali, racconta buona parte della storia, così come della splendida colonna sonora (per lo più musica lirica e sinfonica) che fa da contrappunto ad alcune delle sequenza emotivamente più forti del film. Si potrebbe anche dire di Casey Affleck e di quanto sia bravo ad esprimere così tanta disperazione in modo cosi minimale e silenzioso o di Michelle Williams che, nelle due sole scene in cui è presente, regala momenti di umanità quasi insostenibile.
Ma preferiamo valutare Manchester by the Sea nel suo complesso, senza per forza scomporlo in singoli elementi – ché a quello ci penserà la pioggia di nomination che presumibilmente dovrebbe ricevere – perché è così che andrebbe visto
Come quei film che riescono a farti sentire una persona leggermente migliore, anche solo per i dieci minuti successivi alla visione.

Voto 8

 

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Fabio Giusti

Da sempre convinto che, durante la proiezione di un film, nulla di brutto possa accadere, ha un passato da sceneggiatore, copywriter e altre prescindibili attività. A parte vedere film fa ben poco.

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