Noi
— 4 aprile 2019Jordan Peele confeziona un horror ricco di suggestioni che valica il genere e ci costringe a guardare in faccia il nostro peggior nemico. Noi stessi.
La speranza. È questo il motore del primo spin-off della saga di Star Wars tanto temuto dai fan più intransigenti, quanto riuscito.
Quando nel 2012 la Disney acquistò la LucasFilm e annunciò di voler realizzare delle nuove pellicole del franchise inserendo, nell’attesa tra un episodio e l’altro, degli episodi stand-alone che ne riprendessero personaggi, navicelle e circostanze, tra i sostenitori più intransigenti si è sparso il panico. Perché mai andare a toccare un universo perfetto così com’è, già messo a dura prova dalla seconda trilogia (1999-2005) con l’intenzione di sfruttare la saga fino all’ultima possibile idea da sviluppare?
Una domanda che devono essersi posti sia J.J. Abrams, autore dell’ultimo capitolo ufficiale uscito lo scorso dicembre che ha polverizzato ogni record di incassi, sia Gareth Edwards (Monsters, Godzilla) regista di questo Rogue One. Ma mentre il primo ha avuto l’infausto e non semplice compito di far ripartire una saga, LA saga, e di lanciare le basi per nuove storie con i possibili sviluppi, con Rogue One: A Star Wars Story, primo dei tre spin-off della cosiddetta Star Wars Anthology, Edwards si è potuto muovere più liberamente, sfruttando appieno questa indipendenza e concentrando tutto in poco più di due ore.
L’idea che sta alla base di Rogue One arriva dal supervisore agli effetti visivi John Knoll, veterano della ILM, che nel 2005 lavorava con George Lucas a La vendetta dei Sith e nasce da una riga dei titoli di testa del primo film (Episodio IV: Una nuova speranza), quando si spiega che “i piani sono stati rubati“. Collocato cronologicamente appena prima della fuga della principessa Leila con i droidi e il messaggio per Obi Wan Kenobi, Rogue One riesce nell’impresa non facile di ampliare ancora di più l’universo ideato da Lucas ormai quarant’anni fa, rimanendo fedele ai temi e allo stile della prima trilogia. Nel film viene infatti raccontato come i ribelli siano entrati in possesso dei piani della Morte Nera, la più potente arma di distruzione di massa mai ideata dall’Impero e come fu possibile che questi finissero dentro R2-D2. Il gruppo di questi nuovi (vecchi) eroi è capitanato dalla bella e rabbiosa Jyn Erso (Felicity Jones), e composto da un variegato manipolo di personaggi tra cui l’ufficiale Cassian Andor (Diego Luna), due vecchi guerrieri – Chirrut, cieco e devoto alla Forza (Donnie Yen) e Baze (Jiang Wen)- un ex pilota dell’Impero, Bodhi (Riz Ahmed) e il droide K-2SO (motion capture e voce originale di Alan Tudyk) che dice tutto quello che gli passa per gli ingranaggi. Insomma, personaggi ordinari che compiono qualcosa di straordinario.
I temi che non possono mancare in uno Star Wars Movie ci sono tutti: l’eterno conflitto tra Impero e Alleanza, i difficili legami padre-figlio, la presenza di una guerra antica che pervade tutto. Perfetto, poi, l’incastro con il resto della saga. Ma Rogue One: A Star Wars Story, più che uno sci-fi tout court, assomiglia più a un film di guerra in costume: il look dei personaggi (molti dei quali hanno baffi e basette), la texture delle tute dei piloti, gli arredamenti, catapultano chi guarda nell’universo di Star Wars così come era negli anni Settanta, in grado di restituire quelle sensazioni e di immergere lo spettatore in quel mondo ormai ben noto e, per certi versi, rassicurante. Si combatte, e tanto in Rogue One. Ma sono combattimenti che ricordano i vecchi film western o quelli di samurai, con corpo a corpo su terreni sabbiosi e personaggi disposti a dare la vita pur di compiere un gesto eroico che possa salvare le sorti dei compagni.
Promosso, dunque, anche se narrativamente Rogue One si porta dietro qualche difetto: dopo un prologo coinvolgente e ben calibrato, si passa Infatti attraverso una parte centrale troppo lunga, che si trascina sulle forze con alcuni passaggi del tutto sacrificabili, fino poi a riprendere quota con la battaglia finale.
E Darth Vader? C’è ed è in gran forma. Il suo respiro meccanico continua a inquietare quanto e più di prima, su questo c’è da star tranquilli.
Voto 7
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