Noi
— 4 aprile 2019Jordan Peele confeziona un horror ricco di suggestioni che valica il genere e ci costringe a guardare in faccia il nostro peggior nemico. Noi stessi.
Probabilmente, Audrey Tautou non riuscirà mai a liberarsi dalla maledizione di Amélie Poulain. In lei rivedremo sempre la ragazza naïve con un fascino immenso: qualsiasi personaggio l’attrice porti sullo schermo. Un po’ succede anche con la favolosa Coco, della quale Anne Fontaine vuole esplorare il lato umano, ciò che le ha permesso di diventare quello che fu: una regina della moda, spietata, ammirata, rispettata. Seguiamo quindi le frustrazioni di Gabrielle, di giorno a cucire vestiti e di notte a cantare canzoni in locali da due soldi, fino a quando non viene introdotta alla mollezza della vita agiata grazie all’incontro con il nobile Étienne Balsan. Qui Gabrielle comincia a capire quello che vuole dal mondo: di più.
Il quadro è completo quando nella vita della futura Coco arriva Boy Capel, gentiluomo inglese che le ruba il cuore. Inebriata dal sentimento, la donna decide di dargli forma confezionando le sue prime creazioni di successo. Coco avant Chanel è un film dalle buone intenzioni e dalle ottime credenziali. Ma il mito prima del mito viene qui romanzato in maniera un po’ troppo univoca: il giochino infanzia infelice, volontà di riscatto, felicità e amore funziona in modo stanco e poco convincente. Tautou fa tutto quello che può per rendere interessante una storia che ha sicuramente qualche spunto, ma scivola su drammatiche facilonerie: come il confronto tra miseria e nobiltà, rappresentato con approfondimento al minimo sindacale. Passi la totale dimenticanza della pur discussa bisessualità di Coco, visto che a Fontaine questo non interessava. Solamente, è un peccato vedere che un film con lo charme e la protagonista giusti finisca per tramutare l’eleganza in noia.
Voto 5
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