Noi
— 4 aprile 2019Jordan Peele confeziona un horror ricco di suggestioni che valica il genere e ci costringe a guardare in faccia il nostro peggior nemico. Noi stessi.
Lo scontro culturale che, in Beata ignoranza, contrappone chi si mantiene impermeabile al fascino della tecnologia da chi invece ne è del tutto dipendente magari non sarà proprio vecchio come il mondo, ma è di sicuro parte integrante di qualsiasi studio sui mezzi di comunicazione di massa da almeno cinquant’anni, più o meno dalla teorizzazione della dicotomia “apocalittici VS integrati” per mano di Eco.
Per questo stupisce non poco che Massimiliano Bruno non solo scelga di approcciare un tema già di per sé obsoleto come quello della dipendenza da social network, ma che lo faccia con una banalità di lettura che verrebbe da attribuire più ad un anziano trombone anti-internet che non a un regista accorto e tutto sommato giovane come lui.
La storia è quella di Ernesto (Marco Giallini) e Filippo (Alessandro Gassmann), un tempo grandi amici, che un profondo scontro ha tenuto lontani per anni. Fino a quando si ritrovano, entrambi professori di liceo, a insegnare nella stessa classe. Ma, mentre Filippo è un allegro dongiovanni perennemente online, Ernesto è un severo conservatore, orgoglioso possessore di un telefono cellulare anni 90 e privo di computer. Il passato però si presenta a chiedere il conto tramite Nina, una ragazza che li coinvolgerà in un esperimento che si trasforma ben presto in una grossa sfida: per una settimana Filippo dovrà uscire dalla rete ed Ernesto provare ad entrarci.
Sebbene all’inizio i due punti di vista antitetici vengano infatti illustrati con il finto distacco di chi ambisce al ruolo di osservatore esterno e imparziale, basta addentrarsi un minimo in questo Beata ignoranza per capire come l’autore parteggi decisamente per chi, alle lusinghe di una chat su Telegram, preferisce di gran lunga il piacere tutto analogico della lettura o l’ascolto di un disco, meglio ancora se in vinile. Se il personaggio di Alessandro Gassmann riscopre, attraverso l’abiura della tecnologia, un certo piacere per l’introspezione e il contatto umano, all’opposto quello di Giallini sembra invece perdere nella rete buona parte della propria bontà d’animo.
I problemi nascono quando, su un impianto strutturale già viziato da una sostanziale inattualità di fondo, si va ad appoggiare una sceneggiatura che, tra un tentativo e l’altro di produrre risate, insegue a tutti i costi il meccanismo conciliatorio, vera conditio sine qua non di quasi tutta la commedia italiana contemporanea, laddove per “quasi” si intendono giusto Sydney Sibilia e il Paolo Genovese di Perfetti sconosciuti. Nello specifico, qui tutto tende verso un lieto fine in cui i rapporti umani abbiano comunque la meglio sul virtuale.
Peccato solo che, nel mezzo, ci sia una figlia che i protagonisti, nel dubbio di chi tra i due sia il vero padre, hanno consapevolmente ignorato per quindici anni senza troppi sensi di colpa o patemi di sorta e che – nel giro delle due ore scarse di film, complice anche la nascita di un nipotino dalla paternità ugualmente incerta – si rendono conto di amare alla follia.
La fortuna di Massimiliano Bruno è però di avere in cima al cast due attori rodati come Marco Giallini e Gassmann, che lavorano in modo quasi indipendente dallo script. Il primo, in particolare, gigioneggia adorabilmente con questo ruolo di brontolone dal cuore tenero che sembra ormai diventato il marchio di fabbrica di qualsiasi sua interpretazione, quasi come se ormai Giallini venisse chiamato sul set per “fare Marco Giallini”. E, malgrado quest’anno il bravo attore abbia rischiato molto da vicino la sovraesposizione, non è affatto un caso che i momenti più divertenti del film abbiano proprio lui come protagonista.
Un plauso va anche alla coppia di caratteristi formata da Luca Angeletti e Emanuela Fanelli che chi ha visto la serie Dov’è Mario? ricorderà con piacere. Sebbene lontani (e per fortuna) dalle fastidiose velleità sociali di Gli ultimi saranno ultimi ma da Beata ignoranza era però lecito aspettarsi di più, sia in termini puramente comici che nel suo tentativo di interpretare una realtà troppo complessa per essere racchiusa nel giochino dei pro e dei contro.
Voto 5
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