17 anni (e come uscirne vivi)

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L’assunto dietro a questo 17 anni (e come uscirne vivi), sebbene lapalissiano, è a suo modo originale: declinare cioè la più classica commedia di formazione al femminile senza però le paturnie infinite con musica di Bon Iver in sottofondo e il taglio indie di scuola Sundance.
Pensate piuttosto alle assai meno autoriali – e più politicamente scorrette – storie di ordinaria sfiga che, fino a qualche anno fa, avevano come protagonisti Michael Cera e Jonah Hill, sostituite a questi ultimi Hailee Steinfeld, che ricordiamo bambina nel remake coeniano de Il Grinta, e il gioco è fatto.
Una volta messa in atto una parziale sospensione della maturità (più che dell’abituale incredulità) il film dell’esordiente Kelly Fremon Craig regala un ritratto adolescenziale in cui i giovani rappresentati sembrano poter davvero esistere nella realtà e non appartenere invece a una categoria sociologica astratta desunta da qualche analisi di mercato.



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La protagonista, Nadine, è infatti un concentrato di logorrea, complessi e impopolarità – il vero peccato originale di qualsiasi high school americana – che si è costruita a fatica un ruolo quasi solo sulla scorta di un rapporto di totale antitesi con il fratello Darian, bello, palestrato e poco incline all’introspezione.
Immaginate quindi il dramma quando questo fratello finisce a letto con Krista (Haley Lu Richardson) la sua migliore (più che altro unica) amica e sola ancora di salvezza in un mondo fatto di coetanei che, quando non la prendono deliberatamente di mira, si limitano ad ignorarla quasi al punto di guardarle attraverso.
La collisione di una sfera domestica e di una sociale che si è sempre fatto di tutto per tenere ben distinti è il turning point da cui si dipanano tutta una serie di incomprensioni, malumori, scelte sbagliate e crisi che la classica propensione adolescenziale al tragico rendono il cuore pulsante, oltre che motore ludico, di questo autentico gioiellino generazionale.

E non è affatto un caso che a produrre il tutto ci sia James L.Brooks, uno capace, insieme a Nora Ephron e Nancy Meyers, di ampliare notevolmente il range di ciò che è lecito dire in una commedia. Perché, al netto del portato di dramma spesso insostenibile presente in qualsiasi adolescenza, pur sempre di una commedia si tratta.
A una notevole freschezza di scrittura (lo script è opera della stessa Fremon Craig) abilissima nell’evitare le più insidiose pastoie del genere, non ultimo l’apologo da brutto anatroccolo à la Bella in rosa, si accompagna poi l’interpretazione perfetta di una Hailee Steinfeld particolarmente in parte. Performance che, tra l’altro, ha garantito alla giovane attrice una meritata nomination agli ultimi Golden Globe.
17 anni (e come uscirne vivi) è insomma un’opera intelligente, spassosa e, in qualche modo, anche utile.
Utile a ricordare quanto in fondo avere diciassette anni possa fare parecchio schifo.
Ma quanto, allo stesso tempo, sia anche bellissimo.

Voto 7

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Fabio Giusti

Da sempre convinto che, durante la proiezione di un film, nulla di brutto possa accadere, ha un passato da sceneggiatore, copywriter e altre prescindibili attività. A parte vedere film fa ben poco.

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