Noi
— 4 aprile 2019Jordan Peele confeziona un horror ricco di suggestioni che valica il genere e ci costringe a guardare in faccia il nostro peggior nemico. Noi stessi.
C’è un dipinto di Edward Hopper, “Nighthawks”, QUESTO QUI. Uno dei quadri più famosi del celebre artista americano, che ha influenzato diverse pellicole: da Giorni perduti di Billy Wilder, a Crimini invisibili di Wenders, fino a Profondo rosso di Dario Argento. In The Place vediamo la storia e i personaggi del film svilupparsi all’interno di un locale che ricorda molto quello ritratto da Hopper, soprattutto per il tipo di suggestioni che evoca. È un bar tavola calda che fa angolo ad una strada di passaggio, in cui a ogni ora del giorno e fino a tarda sera, si servono caffè e piatti caldi a clienti di ogni sorta. Tra loro ne spicca uno, barbuto e misterioso, con le fattezze di Valerio Mastandrea. Siede tutti i giorni allo stesso tavolo con un’agenda di pelle nera accanto che consulta ogni qualvolta qualcuno gli si presenta davanti per chiedergli aiuto. Sono, in ordine sparso, il poliziotto Marco Giallini, il padre preoccupato Vinicio Marchioni, la suora Alba Rohrwacher, l’aspirante “bella” Silvia D’Amico, il giovane teppista Silvio Muccino, il meccanico Rocco Papaleo, la moglie annoiata Vittoria Puccini, il non vedente Alessandro Borghi, l’anziana signora Giulia Lazzarini e la cameriera del locale Sabrina Ferilli. Tutti con un desiderio da esaudire, e tutti con qualcosa da dare in cambio, perché l’uomo misterioso gli dica come raggiungere il loro obiettivo.
Dopo il successo di Perfetti sconosciuti (con incassi che hanno superato i 17 milioni di euro nel 2016), Paolo Genovese torna a raccontare una storia che sfrutta ancora una volta l’unità di luogo, come nella pellicola precedente: da un appartamento in cui degli amici si ritrovano a cena, si passa al locale, un po’ anonimo, che dà il titolo al film. Ispirato alla serie televisiva del 2011 The Booth at the End di produzione statunitense, The Place è un’opera coraggiosissima, che però zoppica proprio nel tentativo di racchiudere i meccanismi di scrittura di una serie da 12 puntate a stagione – in cui ognuna è dedicata a uno dei personaggi che entrano nel bar – in un film da poco meno di due ore.
The Place si muove pericolosamente nei territori del fantasy-drama, con rimandi fortemente faustiani che pongono l’accento su temi eterni quali la natura benevola o malevola dell’essere umano, il limite fino al quale si è disposti ad arrivare per ottenere quel che si vuole, passando per riflessioni sull’etica: nessun giudizio, nessuna differenza tra desideri legittimi o illegittimi, ma solo il limite morale a condizionare eventuali richieste. La frase che racchiude il senso del film, Genovese la fa pronunciare al personaggio interpretato da Giulia Lazzarini quando sussurra: “C’è qualcosa di terribile in ognuno di noi e chi non è costretto a scoprirlo è molto fortunato”.
Lo spunto è notevole, meno la riuscita, tra cali di ritmo e qualche elemento che rimane appeso. Ottimo il cast, con un plauso particolare a Valerio Mastandrea, che dimostra ancora una volta di essere un attore poliedrico e sottile, e ad Alessandro Borghi, che qui abbandona le derive dialettali del romanesco per regalarci un personaggio che poteva, in mano ad altri, facilmente diventare macchietta.
Voto 6
Giornalista freelance e blogger, un giorno le è venuta l'idea di aprire questo sito. Scrive di cinema e gossip e nel buio di una sala cinematografica si sente a casa.
Cast stellare per l’adattamento italiano della serie The Booth at the End ad opera di Paolo Genovese. La nostra recensione.
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